Le nuove povertà/40

/ 24.07.2023
di Lidia Ravera

«Abbiamo deciso di divorziare, di comune accordo», disse Betta, sdraiata sul divano su cui aveva giurato che non sarebbe mai più tornata a sdraiarsi.

Aveva saltato un paio di sedute e si era fatta precedere da una mail in cui pregava il dottor M di non mettergliele in conto e di attendere, pazientemente, con la generosità di cui lo sapeva capace, che la disgraziata situazione finanziaria sua e di suo marito, si ristabilisse, in qualche modo.

Gli aveva anche raccontato, nella medesima lettera, lo sgradevole incontro con «suo figlio», il figlio di M, esagerando il senso di umiliazione che le aveva provocato la sua indiscrezione.

Aveva confessato, pesando bene le parole:

«Quando tornerò a coricarmi davanti a lei, non ne parliamo, la prego, gliene ho scritto perché non potevo farne a meno. È stato troppo tremendo per me, non so quanto ho pianto. Però non mi sento di parlargliene. Sono sopraffatta dalla vergogna, ma anche dall’indignazione».

Doveva farlo sentire in colpa.

Probabilmente sapeva di aver cresciuto un disadattato.

Proprio lui che dispensava guarigioni a pagamento. Probabilmente gli dispiaceva davvero per lei e l’unico modo di compensarla sarebbe stato certamente continuare ad ascoltarla. Gratis.

Come risarcimento per l’offesa subita le sarebbe stato più facile accettarla, la crescita esponenziale del suo debito.

Non poteva certo interrompere le sedute, non in quel momento.

«Siccome viviamo in una topaia di 30 metri quadri, mio marito tornerà da sua madre. Ho cercato di tirargli dietro anche nostra figlia, ma non ci sono riuscita.

Lui vuole essere sicuro che io non sia libera di uscire la sera per andare a mettergli corna».

La seduta volgeva al termine e M aveva detto soltanto, «buongiorno» e «si accomodi».

Betta rinunciò a dominare la sua irritazione.

«Le dispiace farmi almeno una domanda, prima di rimandarmi a casa? O in quanto paziente non pagante ho perso il diritto alla sua attenzione?»

M sorrise, divertito.

Non credeva a una parola di quello che la giovane donna gli aveva raccontato.

La decisione di divorziare da Tom l’aveva annunciata decine di volte nei lunghi anni della terapia.

Doveva esserci dell’altro, se aveva voluto tornare da lui.

Anche se Emanuele, il peggiore dei suoi figli, si era comportato in modo riprovevole e si riprometteva di cazziarlo come meritava, non poteva trattarsi di lui, non era per colpa sua che Betta la Bella era tornata in analisi. E di nuovo si aggrappava allo sgretolarsi della relazione con Tom per dare un nome alla sua propria personale forma di infelicità.

La sconfitta amorosa, in fondo, era più nobile del disprezzo per quella cronica mancanza di danaro di cui, come una donnina del secolo scorso, si ostinava a considerare il maschio della coppia come unico responsabile.

Azzardò una domanda non pertinente, ma conosceva talmente a fondo l’animo umano che era praticamente certo di aver intuito la verità.

«Quell’anziano signore che l’ha invitata a cena circa… vediamo… un mese fa, l’ha più rivisto?»

Betta si alzò di scatto e mentì frettolosamente.

«No. Perché me lo chiede?»

M sorrise, interiormente, senza mutare espressione.

Lo divertiva la certezza di essere, al momento, per Betta, il sostituto di un anziano corteggiatore.

La accompagnò alla porta.

«Allora ci vediamo martedì», disse.

«No, non martedì, giovedì prossimo. Non posso più permettermi due sedute a settimana… checchè ne dica suo figlio, mi pongo il problema del debito, io».

Lì per lì si sentì soddisfatta per aver avuto l’ultima parola, ma durò poco.

M ci aveva azzeccato, come al solito. La scomparsa del vecchio l’aveva sorpresa e inquietata oltre misura.

Anche l’analista era un vecchio.

Ma non aveva mai mostrato di desiderarla. Per anni aveva parlato della sua bellezza, sdraiata davanti a lui, come di un territorio morboso da attraversare con cautela.

Il suo fascino, il suo istinto seduttivo, perfino il profumo della sua pelle erano stati sottoposti ad analisi, smontati e rimontati come giocattoli da mettere in ordine e abbandonare nella nursery.

Il vecchio, al contrario, la faceva sentire incantevole, adorabile, pregiata.

Erano passati dieci lunghissimi giorni dalla notte in cui l’aveva accolta in casa sua e ricoverata per la notte con una naturalezza che era, di per sé, prodigiosa.

 

(40 – Continua)