Zurigo, sulla buona strada?

Nella città sulla Limmat è andato in scena lo ZFF, festival ricco di film e di star, ma che ancora non riesce a distinguersi con un’identità precisa
/ 04.10.2021
di Nicola Mazzi

Anche questa volta lo Zurigo Film Festival (giunto alla 17esima edizione) ha offerto al pubblico diversi spunti interessanti, sia per quel che riguarda la programmazione, sia per la presenza di star sul tappeto verde (sì, proprio verde, a Zurigo hanno voluto distinguersi dal resto del mondo…). Partiamo dai personaggi che hanno arricchito il festival diretto da Christian Jungen. A iniziare da Sharon Stone, la vera protagonista della prima parte della manifestazione. L’attrice americana ha infatti ricevuto il Golden Icon Award per la sua carriera.  E nella conversazione con la stampa ha dichiarato: «I fallimenti fanno parte della vita. Senza fallire, non puoi avere successo». Ma la protagonista di Casinò in un discorso più generale ha anche ricordato il suo impegno contro il razzismo, l’aids e la lotta in favore delle donne.  

Dagli Usa è arrivato sulla Limmat anche Paul Schrader (lo sceneggiatore di Taxi Driver e Toro Scatenato) a presentare il suo ultimo film, che era in concorso a Venezia: Il collezionista di carte. E Todd Haynes (uno dei registi più importanti del cinema indipendente americano) che ha portato a Zurigo il suo documentario The Velvet Undergound, sulla storica band capitanata da Lou Reed. 

Un altro grande protagonista dello ZFF è giunto dall’Italia: Paolo Sorrentino, anche lui reduce da Venezia dove il suo bel film autobiografico È stata la mano di Dio ha vinto il Leone d’argento. Il regista napoletano ha discusso con il pubblico e ha risposto ad alcune domande della stampa presente. In particolare, ha detto ai giornalisti che era in uno stato adatto e nell’età giusta per poter scrivere un film molto personale e intimo come questo. Sempre il regista de La Grande Bellezza ha rivelato, a proposito della morte dei genitori, uno dei momenti più toccanti dell’ultimo film: «erano 35 anni che ne parlavo da solo e mi confrontavo con i miei dolori: alla fine mi sono convinto che forse condividerli poteva aiutarmi a superarli. Ma ora che l’ho fatto non so se sia davvero cambiato qualcosa. Credo che bisognerà aspettare un po’ di tempo per avere una risposta. Ecco, forse qualcosa di buono sta avvenendo: inizio a essere annoiato dai miei dolori visto che ne parlo tutti i giorni e questa è una buona cosa». 

I film presentati a Zurigo sono, soprattutto per i titoli più noti, delle prime nazionali che arrivano però da altri festival come Cannes e Venezia (Spencer, The French Dispatch, Tre Piani, ecc). Detto questo occorre comunque dare atto agli organizzatori di essere riusciti ad accaparrarsi la prima mondiale (in contemporanea con Londra) dell’ultimo e atteso James Bond: No Time To Die. Ed è stata la prima volta che un film di 007 ha fatto parte della scaletta di un festival. 

Tra i film meno conosciuti presentati a Zurigo, segnalo un paio di buone produzioni: il danese From the Wild Sea e il collettivo elvetico Les Nouvelles Èves. Due film che hanno nelle gesta quotidiane un nesso che li accomuna. Il primo si concentra sui volontari che si occupano della salute degli animali selvatici nel Nord dell’Europa. Il loro lavoro quotidiano è scandagliato nei minimi particolari dalla macchina da presa e così possiamo osservare con attenzione i cuccioli di foca feriti che vengono nutriti con cibo liquido e riscaldati con lampade a infrarossi, oppure i cigni sporchi d’olio che vengono sottoposti ad accurati bagni di sapone. Il regista Robin Petré mette a nudo la relazione ambivalente tra gli uomini e gli ecosistemi minacciati e ci consegna questo documento crudo e realistico.

Il secondo è un viaggio in Svizzera attraverso sei storie di donne, di diversa età, filmate da altrettante autrici. Una produzione semplice, ma efficace perché mostra le problematiche quotidiane che devono affrontare in una società che non è ancora adeguata ai loro bisogni. Dalla complessa gestione del binomio lavoro-famiglia di una professoressa universitaria vodese, alle difficoltà economiche di una neopensionata ticinese, passando per una giovane studentessa alla ricerca di una propria identità sessuale. Luoghi differenti (la città svizzero-tedesca, il paesino in una valle del Ticino o la realtà urbana romanda), ma accomunati dagli stessi problemi ancora irrisolti. 

Come il recente Locarno Film Festival, anche lo ZFF ha dovuto fare i conti con un calo di spettatori. Le sale – vuoi per le norme anti-covid, vuoi per un certo timore degli spettatori – non si sono mai riempite del tutto. Una minore affluenza che si è notata anche tra gli addetti ai lavori, meno presenti che in altre edizioni del festival. Una rassegna pur sempre interessante, che però deve capire dove vuole andare per continuare ad avere successo. L’impressione è che stia ancora cercando una propria strada tra i vari concorsi, le serate di gala, i film che arrivano dagli altri festival e le star. Ormai l’adolescenza è finita e l’anno prossimo, con la 18esima edizione, ZFF raggiungerà la maggiore età.