Zeno Cosini, l’antieroe di nuovo attuale

Al LAC l’originale rilettura della compagnia Oyes
/ 28.02.2022
di Giorgio Thoeni

«Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni  ritorneremo alla salute. (…) Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata a forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie». Problematica e inquietante presagio, la celebre battuta conclusiva de La coscienza di Zeno, quasi indispensabile, è recentemente riecheggiata nella platea del LAC. Parole che ci riportano al Teatro Kursaal degli anni ’80 quando i panni di Zeno Cosini, il protagonista del capolavoro di Italo Svevo pubblicato solo nel 1923, erano indossati da Giulio Bosetti, affiancato da attori come Marina Bonfigli e Claudio Gora per la regia di Egisto Marcucci, i costumi di Santuzza Calì, le scene di Emanuele Luzzati… che altro dire? Per decenni il romanzo del grande triestino ha visto la sua fortuna teatrale saldamente ancorata alla coraggiosa ed esemplare versione di Tullio Kezich (1965), cavalcata da celebri allestimenti e prestigiose interpretazioni.

Per tornare ai giorni nostri occorreva una rilettura. Almeno è quanto ha pensato Oyes, giovane compagnia teatrale milanese di prosa contemporanea, allestendo una originale versione prodotta dal LAC con il Teatro Metastasio di Prato e il Teatro Stabile del Veneto: uno spettacolo diretto da Stefano Cordella e Noemi Radice che hanno anche rielaborato il testo con Dario Merlini. Scritto all’indomani della Grande Guerra, La coscienza di Zeno ha rivoluzionato la cultura letteraria del ’900 con l’ingresso della giovane psicoanalisi fra le pagine del romanzo. La vicenda di Zeno Cosini, antieroe che si crede affetto da una malattia e in lotta con la sua coscienza, vive l’ambientazione sospesa e senza tempo della stanza di un museo nutrita da un linguaggio quotidiano per la ricostruzione ossessiva della biografia di Zeno, alle origini di un malessere avvolto da nubi di eterne sigarette. Un intelligente pretesto per isolare il maschilismo di una umanità superata, destinata a scomparire lasciandosi alle spalle un secolo breve di grandi progressi ma incapace di creare certezze. Felice intuizione che non stravolge il dettato di Svevo ma che sul finale si lascia sedurre da un fervorino tutto sommato ridondante rispetto a un’operazione complessivamente originale. Una platea prevalentemente giovane ha accolto con calore la prova dei bravi e (troppo) impostati Livia Castiglioni, Daniele Crasti, Francesca Gemma, Francesco Meola, Dario Merlini e Fabio Bulli.