A spasso fra Turingia e Sassonia gli scrittori della generazione di mezzo della ex Rdt, ormai sessantenni, ci hanno offerto dopo la caduta del Muro di Berlino nuovi paesaggi. Già Günter Grass, a suo tempo, nel diario Da una Germania all’altra evocava l’atmosfera un po’ irreale di Lipsia o la stazione di Dresda, fra sagome carnascialesche, inquietanti come i fantasmi di Emsor. Più tardi Ingo Schulze ci ha raccontato in Vite nuove la crisi di identità del nuovo soggetto tedesco e nel suo ultimo romanzo La rettitudine degli assassini rievoca intensamente la città di Dresda, dov’è nato nel 1962 e molti angoli della Sassonia, così come Uwe Tellkamp nel fortunato romanzo La torre, un’epopea negativa che ribalta l’idea della provincia pedagogica, ci ha introdotto nei quartieri residenziali della città sulle pendici dell’Elba, tra passato e presente. Mentre il poeta e saggista Durs Grünbein coetaneo di Schulze, ha insistito molto sul senso di spaesamento negli anni grigi e deludenti della Rdt trovando poi una patria tra i versi di Hölderlin e Brecht, Auden e Eliot e declinando il pensiero nichilista con ogni avventura esistenza- le.
Anche da Zurigo arriva ora aria dell’est impregnata di vecchia provincia sassone grazie alla raffinata traduzione di una scelta di poesie di Thilo Krause, Che si dice mentre tuona, a cura di Roberta Gado, autrice altresì di una vivace postfazione. Tre sono le raccolte pubblicate fra il 2012 e il 2018, da cui sono tratte le liriche di quest’antologia, il cui autore nato a Dresda nel 1977 e cresciuto in un paesino lontano dal capoluogo, ha conseguito un dottorato in ingegneria economica all’università di Zurigo diventando infine responsabile delle strategie di investimento nella rete elettrica municipale della città.
Strano percorso per un poeta come lui aperto allo stupore, le cui immagini sono un condensato di emozioni. Del resto all’ubiquità si è abituato da tempo: fra professione e scrittura, fra lontani ricordi familiari nel paese di Ulbricht e un presente svizzero di cui ha raccontato a lungo nel secondo volume di poesie del 2015 Per lasciar le cose intatte, fra la lingua tedesca delle origini e dei suoi testi letterari, la sua quotidiana versione zurighese, che parla anche con i figli, e l’italiano della moglie Sabrina e dei suoceri emigrati in Svizzera.
Ma proprio nei suoi versi, che danno spesso voce a momenti quotidiani, Krause sembra ricomporre piccole e grandi cesure del proprio passato in una costante, univoca dimensione: ritrovare una sostanza, un’ identità che unisca nel segno della parola, fuori dal tempo, le molte sfaccettature del destino. Non è una curiosità ideologica né una riflessione storica, ma uno sguardo rivolto al naturale scorrere dell’esistenza pur nel ricordo di un passato che ha traumatizzato generazioni fra guerre e contrapposizioni politiche.
La sua voce richiama con grazia inconsueta immagini familiari, sensazioni lontane eppure ancora deste come di chi fin da bambino ha spiato i riflessi della natura cogliendo «globuli di luce che il vento/ lucida sparpaglia e raccoglie», come nella poesia Notizie da casa. E insegue la propria immagine d’un tempo: quel monello fannullone a zonzo per la campagna, la testa sprofondata nei prati in un paese che «s’incurva verso il mondo» o accanto ai nonni tra vecchie foto di famiglia, mentre in lui tutto ribolle «sulla superficie ferma delle vacanze». È un intrecciarsi d’immagini che fissano i contorni di un tempo quasi magico per lo scrittore alla ricerca di se stesso: il fruscio del granoturco nella calura, il fumo della fornace, le strade di sabbia, la cava d’argilla, il cortile tra i versi della poesia L’unico luogo intorno. «Non agitarti», dice Krause a quel bambino in preda a mille emozioni, «il mondo regge ancora/ancora è la notte/tonda, tonda, tonda…». Come il Viandante sul mare di nebbia (citazione dal dipinto di Caspar David Friedrich ) il poeta guarda lontano, gli occhi strizzati, verso i frammenti occultati dagli anni, dove i paesi vaporano tra i campi e non resta che una felce, frusciante e calda, a svelare quel mondo.
La poesia di Krause è immersa nella quotidianità che trasforma, attraverso immagini, metafore, figure originali e intense in un universo di incalzanti fantasie estranee a qualsiasi retorica, anche quella del passato e del tempo perduto. E’ una storia di lontananza, come dice in Postumo, dove i pensieri rivolti al passato riportano indietro imprevedibili, inedite suggestioni. Non poco è legato anche al suo interesse per poeti di diversa area linguistica come Wallace Stevens, Seamus Heany o Tomas Tranströmer e gli italiani Quasimodo e Montale. Con quest’ultimo - nel suo discorso in occasione del premio Peter-Huchel nell’aprile del 2019 – ha detto di intrattenere idealmente un dialogo in relazione non tanto a una poesia filosofica, che diffonda idee, ma alla ricerca di una verità puntuale, come ricordò lo stesso Montale nell’ Intervista immaginaria del 1946. E questa, nel suo caso, è spesso legata ad un’idea di realtà ricca di infinite scoperte, anche nel gioco degli affetti, sempre presente nei suoi versi, nel racconto coi figli per riconoscersi, come suggerisce nella poesia Storie «in un lampo dentro la notte». È un mondo nuovo che si affaccia sulla sua vita: quello professionale e familiare, nell’altrove svizzero che è l’immagine stessa del futuro e al tempo stesso, come in Zurigo, zero circa, il richiamo di un presente in cui la natura felice di un tempo sì è come rattrappita, «casa su casa/negli interstizi/ di vicino e lontano». E tuttavia le cose, sulla sua pagina, hanno un tocco evocativo, nel ritmo e nello spazio, perché lui le impara «da capo» e vegliando disteso ascolta gli alberi, come dice in Estate di periferia, e la musica pura della pioggia.
La leggerezza della poesia di Krause non ha nulla di déjà vu, perché le immagini sembrano provenire da strane lontananze, dalla gioia dello stupore. All’origine c’è ancora la fascinazione del mondo sassone dell’ infanzia, le molte suggestioni della natura d’allora pur ridimensionate da una vita all’insegna dell’apprendimento e del sapere, come ricorda la traduttrice nel suo testo finale. Sono gli anni di studio anche auto-didattico, l’infinità curiosità per il mondo scientifico e letterario, la sua inesausta scoperta della realtà, spesso con i propri figli, a ricordare la doppia immagine di Thilo Krause. Strano e affascinante quest’ingegnere che osserva la realtà con lo sguardo di un rigoroso sognatore, ma ne coglie i contorni più problematici, non senza una punta di malinconia e infinito entusiasmo per ogni attimo di vita.