È tutta giovane la nuova produzione di LuganoInScena che Carmelo Rifici ha affidato al regista Andrea Chiodi. La scelta è caduta su La bisbetica domata di William Shakespeare, un’opera che il regista ha riletto nell’adattamento e nella traduzione di Angela Demattè scegliendo un cast di soli uomini: attori di comprovata bravura come i premiati Tindaro Granata, Christian La Rosa, Angelo Di Genio, gli ormai comprovati talenti «nostrani» di ottimo livello come Igor Horvat e Massimiliano Zampetti e tre freschi diplomati come Rocco Schira (Accademia Dimitri di Verscio), Ugo Fiore e Walter Rizzuto (Scuola del Piccolo di Milano). Se alla fedeltà «territoriale» occorre aggiungere le musiche curate da Zeno Gabaglio, le scene sono di Matteo Patrucco e i costumi di Ilaria Ariemme.
L’importante appuntamento con il debutto nella sala del LAC non è stato disatteso dal pubblico che ha pacificamente invaso il teatro fino a occupare balconata e palchetti accogliendo calorosamente la commedia del Bardo su cui Chiodi ha voluto ricamarne, con scelte registiche originali, la prepotente ambiguità di un’indiavolata Caterina, addomesticata e sottomessa da Petruccio, suo sposo e domatore. Una direzione che ha lasciato praticamente intatte le parti più significative del testo scespiriano che è stato rimontato accorpando i cinque atti originali in un’unica tirata di oltre due ore.
Una scelta sorretta da una recitazione ritmata e dagli accenti che riecheggiano la grande tradizione del teatro di parola «all’italiana», dove enfasi oratoria e venature manieristiche non lasciavano però spazio a compiacimenti mettendo così in luce le capacità attoriali che, viste in questa prospettiva, erano davvero sorprendenti. Il gioco delle parti, raffinato e divertito, offre i contorni di personaggi ben definiti in un allestimento che ammicca al musical grazie a spassosi intermezzi farciti da garbate sdolcinature alla Perry Como come Caterina, Magic Moment fino al Presley di Love Me Tender tessuti con la complicità canora degli attori, davvero molto bravi, duttili e incisivi.
Una menzione speciale la merita senza esitazione il duo protagonista. A cominciare da Tindaro Granata per una Caterina tragicamente attuale con Angelo Di Genio per lo spavaldo e crudele Petruccio. Il tutto in uno spettacolo riuscito e godibile dove la comicità conquista sorrisi intelligenti. Dopo le due serate luganesi si prospetta un’articolata tournée italiana con in coda, ce lo auguriamo, un ritorno luganese.
Un gioco invisibile fra spazio e tempo
Bella vitalità creativa quella di Lorena Dozio in uscita dalla volatilità di Otolithes ora è entrata con Dazzle in una nuova esplorazione dell’invisibile, del camuffamento. Questo è il significato del verbo inglese che da «abbagliare» fa derivare l’espressione razzle-dazzle per «confondere le idee». Eppure, nonostante il titolo, abbiamo visto lo spettacolo di Lorena al suo debutto al Teatro Foce di Lugano per la rassegna Home.
Dazzle è immaginato in quattro quadri. Nel primo ci mostra un corpo «spento», rannicchiato sul palco e che viene ricoperto da un telo scuro dal quale nascono forme, si animano ombre, prendono vita immagini surreali, dalla punta di uno stelo al respiro di una medusa nel cuore della geometrica stilizzazione di una foresta, un’Ade che tutto inghiotte avvolta da un sottofondo elettronico ed esoterico. Nel secondo quadro il corpo si svela verso nuove dimensioni, insegue le linee spezzate della foresta, assume lentissime sembianze, un ralenti che richiama la leggerezza delle ombre.
Insolito e provocatorio, il terzo quadro sembra voler abbracciare i cliché dell’invisibilità della morte sulle note di un insistito riff che ricorda l’hendrixiana versione di All Along the Watchtower, canzone apocalittica dylaniana dai tre ripetuti accordi del riff. Sono movimenti su ritmi usciti da una discoteca degli anni Settanta, dove un teschio e un mantello suggeriscono l’icona della morte, della paura ma anche una danza macabra.
Quello che consideriamo come ultimo quadro ci riassume tutto con un’unica danza frenetica in cui si susseguono movimenti dolcemente veloci finché il corpo torna a sparire inghiottito dall’invisibile. La coreografia della Dozio, proposta al termine di una residenza tra LuganoInScena e il Teatro Laura Betti di Casalecchio di Reno, convince e affascina grazie anche alla bella prova di Caterina Basso, una sorta di alter-ego della coreografa, perfettamente calata nei contrasti e nelle forme «dazzle». Anche nelle volute più esplicitamente simboliche, il suo corpo volubile e elegante si presta al gioco di un’architettura intelligente nel segno spezzato della sorpresa e nel giusto equilibrio formale.