Durante gli ultimi due anni segnati dalla pandemia, il festival Visions du Réel si è trovato alle prese con emozioni spesso contrastanti: dalla delusione più cocente all’euforia pura. Un’esperienza che ha fatto fiorire progetti inattesi come le coinvolgenti Balades thématiques che permettono a quanti vogliono prolungare l’esperienza cinematografica facendo domande o semplicemente discutendo con i cineasti o i ricercatori dell’Università di Losanna, di farlo mentre passeggiano per le strade di Nyon. Un modo conviviale di approcciare il cinema che permette di riflettere sulla settima arte senza tabù, arricchendosi dell’esperienza di chi la vive e sperimenta il quotidiano.
Inclusivi e simpaticamente informali anche gli Stammtisch, momenti di scambio con i registi e i membri del festival all’ora dell’aperitivo. La ricchezza delle (nuove) proposte che coinvolgono il pubblico trasforma la kermesse in luogo democratico nel quale pubblico e addetti ai lavori comunicano in tutta libertà.
Come sempre avanguardistica, la programmazione di quest’anno sfida più che mai le convenzioni giocandoci non senza una certa dose di sfrontatezza. Indipendentemente dal linguaggio utilizzato: documentario (impregnato di finzione) o finzione (che nasce dall’osservazione minuziosa del reale), ciò che accomuna i film di questa cinquantatreesima edizione è la necessità di esprimere le preoccupazioni che abitano il nostro quotidiano, di rappresentare il reale in tutta la sua meravigliosa e destabilizzante complessità. Il padrino (premio Maître du réel) di quest’edizione della «rinascita», l’immenso regista italiano Marco Bellocchio, riassume con il suo cinema proprio questa dicotomia fra realtà e finzione, due facce della stessa medaglia che fa dialogare senza sosta per (ri)costruire la realtà che lo attornia e inquieta: quella italiana, ma anche quella più intima della sua famiglia. Dall’impetuoso e poetico I pugni in tasca del 1965, film di debutto osannato da pubblico e critica, fino all’ultimo, toccante Marx può aspettare, che con coraggio e pudore racconta la storia del fratello gemello morto suicida a ventinove anni, Bellocchio non ha mai smesso di nutrirsi del suo vissuto per raccontare storie che lo sublimano e complessificano.
Una miscela geniale fra personale e politico, pubblico e privato che è anche al centro dei film della regista americana Kirsten Johnson e del regista algerino Hassen Ferhani, i due importanti ospiti di quest’anno, infaticabili traduttori di un reale sempre più complesso e inafferrabile. Sebbene sia ovviamente impossibile raggruppare i film selezionati in un solo tema, ciò che marca indubbiamente quest’edizione è la forte presenza di film inediti: nove su sedici nella Competizione Internazionale Lungometraggi e sette su quindici nella Competizione Burning Lights. Una presenza massiccia e benvenuta per un’edizione che profuma di primavera, d’audacia e di quella sfrontatezza tipica della gioventù.
Nella Competizione Internazionale spiccano proprio due primi film di registi svizzeri: My Old Man di Steven Vit e L’îlot del romando Tizian Büchi. Quest’ultimo parte dalla realtà di un quartiere «popolare» di Losanna, les Faverges, attorniato dal fiume Vuachère, per lasciare poi spazio ad una sorta di realismo magico che sembra sgorgare dalle acque stesse del fiume. Fedele a quella miscela fra realtà e finzione tanto cara al festival, Büchi ha affidato il ruolo di protagonisti ad un controllore dei trasporti pubblici losannesi ed al suo coinquilino, due personalità dirompenti che illuminano letteralmente lo schermo.
Steven Vit da invece voce e corpo a suo padre, Rudi Vit, un «pezzo grosso» di un’azienda internazionale che deve improvvisamente vestire i panni ingombranti del pensionato dopo aver passato buona parte della sua vita a viaggiare per lavoro. Un ritratto preciso e delicato di un baby boomer alle prese con la ricostruzione della propria mascolinità, la storia di un uomo finalmente libero di esplorare, non senza una benvenuta dose di umorismo, le proprie emozioni. Un film inedito anche il potente Chaylla del duo francese Paul Pirritano e Clara Tepel che racconta il difficile percorso di Chaylla nel tentativo di liberarsi dagli abusi, fisici e psicologici, del suo compagno. Fra coraggio e rassegnazione, la protagonista del film, filmata con poesia ed estrema empatia, si rivela pian piano davanti alla cinepresa trovando infine il coraggio di esistere. Un film toccante e giusto che ricorda la precisione dei fratelli Dardenne. Un ritratto a fior di pelle anche Éclaireuses della belga Lydie Wisshaupt che racconta l’avventura di due insegnanti combattive implicate nella difesa di una scuola «alternativa» per bambini migranti, molti dei quali non sono mai stati scolarizzati.
Altrettanto esplosiva la Competizione Burning Lights dove brillano pepite d’inventività intrise d’umanità come lo spagnolo Los saldos del giovane Raúl Capdevila Murillo che mette in scena, in un’atmosfera da film western, il declino della modesta azienda agricola famigliare divorata dai giganti dell’agroalimentare. In un andirivieni costante fra realtà e finzione, i genitori, la nonna, i vicini e il regista stesso diventano i magnifici protagonisti della loro storia. Un’audacia decisamente presente anche nella Competizione Nazionale capitanata da film radicali quali Ardente.x.s, primo lungometraggio di Patrick Muroni sul collettivo OIL Productions che crea film pornografici «etici e dissidenti», Garçonnières della regista e antropologa Céline Pernet che si interroga sui modelli contemporanei di mascolinità, Hijos del viento di Felipe Monroy, ultimo capitolo di una trilogia senza compromessi sulla terra natale del regista: la Colombia o ancora Supertempo di Daniel Kemény, prodotto dalla ticinese Cinedokké, che ci scaraventa nel quotidiano del regista e della sua compagna durante il confinamento.
Sin dal film d’apertura Fire of Love di Sara Dosa che racconta la storia di una coppia di vulcanologi assolutamente fuori dal comune, quest’edizione non ha smesso di fare tremare le nostre certezze fino all’eruzione finale marcata da una gioia condivisa: quella di essere di nuovo riuniti davanti al grande schermo.