Un’anteprima affollata e festosa – che la dice lunga sulla «fame» di opera del pubblico della Svizzera italiana – ha accolto, la sera del 31 agosto, il nuovo allestimento dello spettacolo inaugurale del LAC, un’attesa Traviata, che si inserisce in un programma di progressivo avvicinamento a una produzione operistica più frequente e regolare, che ha avuto inizio quattro anni fa con l’applauditissimo Barbiere di Siviglia.
Opere dunque conosciute e amate dal pubblico, riproposte con uno sguardo nuovo sia registico sia musicale. In particolare Carmelo Rifici punta i riflettori sulla protagonista, approfondendone e portandone alla luce la personalità nei suoi risvolti più segreti. Violetta non è più la prostituta d’alto bordo immersa in una ricchezza materiale che in parte ne nascondeva la vera natura, ma un’innocente, una vittima sacrificale che aspira all’amore assoluto, destinata a immolarsi a causa di una società ipocrita e perbenista che vede in lei la preda e la colpa. Addio all’Ottocento opulento e pesante visto in tanti allestimenti, la scena è di un’eleganza essenziale, come vediamo all’aprirsi del sipario sul Preludio del primo atto. E c’è subito una piccola sorpresa: Giuseppe Verdi (non può essere che lui) osserva nascere la sua creatura, la seguirà nel suo percorso di amore, malattia e morte fino all’ultima scena. Siamo immersi in un’atmosfera intima, anche durante la festa, e appare presto evidente il senso di separazione, quasi straniamento di Violetta rispetto al mondo che la circonda, mentre l’irruzione dell’amore nella sua vita è contrassegnato da un abbraccio di luce calda e dorata. Quale sia il ruolo che la società infligge alla giovane è ancora più chiaro nel secondo atto in cui la scena della festa a casa di Flora è rivissuta in modo straordinariamente efficace attraverso il rito della caccia, suggerito dai trofei disseminati nell’opera (tori, bue grasso) e legati al Carnevale, momento estremo di crudeltà in cui tutto è permesso. L’animo puro di Violetta emerge dai suoi ricordi di bambina, in un gioco di ombre in movimento e disegni di luce che avvolgono lo spettacolo in una dimensione onirica, densa di evocazioni. Gli altri personaggi del dramma, pur chiaramente delineati, quasi spariscono per lasciare spazio nel momento finale a Verdi e alla sua creatura. Sparisce l’Alfredo impetuoso e veemente di Airam Hernandez, incapace di comprendere fino in fondo l’animo dell’amata, sparisce il severo e monolitico Germont dalla bella dizione di Giovanni Meoni, sparisce il mondo di Flora (Sofia Tumanyan) e del barone (Davide Fersini), rimane la vicenda emblematica di Violetta, il suo sogno di purezza infantile, il suo animo incompreso e calpestato.
Gli interpreti seguono il percorso indicato da Rifici, a cominciare proprio da lei, Myrtò Papatanasiu, Violetta potente e delicata in ogni gesto, finalmente liberata dai luoghi comuni del suo tempo, fino all’accorata Annina di Michela Petrino. Tutto concorre a realizzare un progetto condiviso, le bellissime scene di Guido Burganza, le luci intense ed espressive di Alessandro Verazzi, i costumi forti e monocolori di Margherita Baldoni, le coreografie di Alessio Maria Romano che si protendono nella contemporaneità e – tutt’altro che ultime – le ombre di Teatro Gioco Vita che quasi rappresentano il soffio dell’anima di Violetta. Con loro il magnifico Coro della Radiotelevisione Svizzera diretto da Andrea Marchiol, sotto la direzione artistica di Diego Fasolis, offre lo spaccato di una società borghese opprimente intesa come un corpo solo, imprendibile. C’è pure il contributo della Civica Filarmonica di Lugano.
E la direzione musicale? Quello di Markus Poschner e dell’OSI è un percorso che merita uno sguardo speciale. Le circostanze hanno fatto sì che Poschner, dopo avere deposto la bacchetta per dirigere Wagner a Bayreuth, dove è stato chiamato d’urgenza a colmare una serie di sostituzioni dovute a covid, la riprendesse in mano poche ore dopo per dirigere Verdi a Lugano. Non v’è dubbio che la sua frequentazione del compositore tedesco sia stata negli anni molto più assidua rispetto all’italiano, lo documenta la sua carriera. La consapevolezza che non siano molti i direttori d’orchestra in grado di padroneggiare i due giganti dell’Ottocento operistico con uguali risultati non deve impedirci di porgere l’orecchio con serenità all’ascolto di questa Traviata. E permetterci così di apprezzarne la freschezza di approccio, condivisa dall’Orchestra della Svizzera italiana che è quasi nuova al mondo meraviglioso dell’opera. Lo slancio di un primo atto scintillante nella scena della festa, i colori sommessi e malinconici del terzo, la ricerca di precise sfumature, la voglia di proporre un Verdi nuovo e perfino mai sentito, tutto questo è nella direzione di Poschner.
Sono ancora due le repliche in programma al LAC, previste per martedì 6 e giovedì 8 settembre alle 20. Da non perdere.