Margery Williams, Il coniglietto di velluto o come i giocattoli diventano veri, Emme Edizioni (Da 5 anni).
Prima che si chiuda l’anno, segnaliamo questo racconto che compie cent’anni: Il coniglietto di velluto, dell’autrice angloamericana Margery Williams (1881-1944). Notissimo in ambito anglosassone, esce in italiano per la prima volta in versione integrale. Coniglietto di velluto vorrebbe diventare vero, ma che cosa vuol dire essere vero? E poi essere vero solo per lui, o essere vero davvero? Tra giochi, smarrimenti, drammatici allontanamenti, lacrime, sorrisi e fate, un piccolo classico che riscalda il cuore.
Nic Stone, Dear Martin, EDT Giralangolo (Da 14 anni).
Un romanzo sulle discriminazioni e sugli stereotipi, da qualsiasi parte ci si voglia situare. Justyce è afroamericano, ha diciassette anni, frequenta con profitti eccellenti il liceo ad Atlanta, per i suoi meriti è stato ammesso alla prestigiosa Università di Yale, che frequenterà dall’anno successivo. Eppure, quando una notte la polizia lo vede caricare in auto una ragazza (la sua ex ragazza, che lui ha trovato in giro ubriaca, e che vuole riportare a casa, al sicuro, impedendole di mettersi al volante in quelle condizioni), ecco che scatta lo stereotipo «adolescente nero=delinquente» e Justyce viene arrestato. Poco importa che poi venga rilasciato, in Justyce il brutale trattamento subito scatena una serie di domande: domande di senso, che ogni adolescente potrebbe porsi, ma che un adolescente dalla pelle nera in America potrebbe porsi con maggiore urgenza. Nella sua ricerca di senso, Justyce comincia a tenere una sorta di diario, in forma di lettere indirizzate virtualmente a Martin Luther King, suo faro etico. L’interrogativo centrale è «cosa avresti fatto tu, Martin, al posto mio?»: «Tu sei vissuto in un mondo in cui ai neri che lottavano per i loro diritti li pigliavano di mira con gli idranti e li picchiavano e imprigionavano e ammazzavano, eppure sei riuscito a conservare la tua dignità e tutto. Come hai fatto Martin? Come accidenti ci sei riuscito?».
I pregiudizi con cui Justyce si scontra arrivano da vari fronti, perché la vita è complessa e per crescere occorre districarsi tra questi nodi di complessità, chiedendosi con sincerità «chi sono, in cosa credo», anche quando si è feriti non solo dai soprusi razzisti subiti dai bianchi, ma anche dai pregiudizi di chi ha la pelle nera come te: quelli che «a scuola nell’intervallo mi chiamavano Angioletto Bianco solo perché preferivo leggere un libro», quelli che ti accusano di essere un «traditore della razza», uno che vuole «tenersi buono l’uomo bianco per quando arriva il momento della scalata», e persino i pregiudizi della mamma, che non vuole che Justyce si metta con una ragazza bianca. La vita è come una montagna ardua da scalare, per Justyce, che si sente continuamente ricacciato giù da due forze antitetiche ma dagli effetti ugualmente deprimenti. Il ricco bianco insinuerà che Justyce è stato preso a Yale solo per una questione di quote «nere», e questo non farà che minarne l’autostima, a tal punto che continuerà a chiedersi se davvero si merita i suoi successi; ma anche il nero bullo di una banda di strada, a cui Justyce rifiuta di sottomettersi, insinuerà che lui sia solo uno smidollato opportunista. «È come se stessi scalando una montagna, ma con un idiota che cerca costantemente di ricacciarmi giù per non essere raggiunto e un altro che mi tira per una gamba per riportarmi a terra, nel punto da dove lui si rifiuta di muoversi».
Anche le parole sono importanti, in questo libro ben tradotto da Anna Rusconi. Interessante il passo in cui Justyce accusa un compagno bianco di dire «nigga come se la parola ti appartenesse». Nigga, «negro», è un epiteto usato all’interno della comunità afroamericana per riferirsi a membri del medesimo gruppo, con finalità riappropriativa, appunto per disattivarne la funzione denigratoria. Un po’ come l’epiteto terrone, usato oggi con fierezza dagli stessi giovani del sud, ma percepito come un insulto se venisse da un parlante del nord. Le parole appartengono a qualcuno? Si chiedono i protagonisti di questo romanzo, che è anche un limpido esempio di efficace argomentazione, visto che nella scuola di Justyce c’è la squadra di dibattito (di cui Justyce è il capitano): i dibattiti tra i ragazzi vengono messi in scena in capitoli fatti esclusivamente di battute, come fossero teatrali. Queste battute sono parole e non pugni, ma lasciano il segno e fanno pensare.