Matt Haig, Miika, il topolino di Natale, Illustrazioni di Chris Mould, Salani (Da 8 anni)
Un mese dopo Natale è troppo tardi per segnalare un bel romanzo con il Natale nel titolo? No, certamente no, anche perché questo non è un bel romanzo di Natale, ma un bel romanzo. Tout court. E il colmo è che il Natale qui non c’entra niente, il titolo è una scelta dell’editore italiano (forse per richiamare i romanzi natalizi e di successo dell’autore, o forse perché effettivamente Miika vive a Elfhelm, tra elfi, renne e magia), ma il titolo originale è semplicemente Un topo chiamato Miika (A Mouse Called Miika).
L’autore è Matt Haig, e di lui sappiamo che non sbaglia un colpo. Soprattutto quando si rivolge al pubblico dei giovani lettori. Con romanzi «natalizi» (ma per ogni giorno dell’anno) come Un bambino chiamato Natale, o La bambina che salvò il Natale, o non natalizi, come Essere un gatto (leggetelo, se ancora non l’avete fatto) o con quello che già si faceva apprezzare agli esordi, La foresta d’ombra. Bene, anche con questo recentissimo, non natalizio e dedicato al topo Miika, la poesia della trama di Haig c’è tutta, e così pure il calore, venato di humour, della sua scrittura.
Miika è un topino convinto di essere pauroso, codardo e anche ladro, visto che da piccolo, spinto dalla fame, aveva rubato un fungo dalla tana della sua famiglia e si era incamminato nel mondo – peraltro senza che nessuno della sua famiglia di innumerevoli topi si accorgesse della sua mancanza – giungendo a Elfhelm, e trovando ospitalità nella casa della Fata della Verità. Miika è anche convinto di essere una «patetica creatura intermedia», né vero topo né vera creatura magica, perché a Elfhelm, per salvargli la vita, una bambina gli aveva fatto l’incantesimo «strasogno», donandogli dei poteri magici, il cui potenziale però sarà tutto da scoprire. Ma queste deprimenti immagini di sé gli vengono principalmente da ciò che gli dice Bridget l’Audace, una topina proterva e opportunista che Miika tuttavia cerca in ogni modo di compiacere. Fino a capire, dopo una mirabolante avventura tra troll e formaggi rubati, che «il coraggio non voleva dire non avere paura. Voleva dire avere paura e andare avanti lo stesso», e che ti devi liberare da «amicizie» che ti rendono succube e ti spingono a fare cose in cui non credi. E lui «aveva creduto nel profondo di essere un ladro e un codardo. Ma non doveva esserlo per forza. […] Voglio essere una creatura gentile. E a volte la cosa più coraggiosa è essere chi si vuole».
Mariapaola Pesce – Martina Tonello, Ho sentito dire che…, Terre di Mezzo (Da 4 anni)
Una storia buffa sulle distorsioni comunicative, i «bias» cognitivi, come si definiscono tecnicamente, il capire Roma per toma, se vogliamo farla semplice. Gli abitanti del bosco della nostra storia riportano informazioni errate sulla base di cose orecchiate (è il caso di dirlo, visto che tra loro ci sono topi e leprotti!) superficialmente, riferendo brandelli di conversazione non contestualizzati nel discorso complessivo.
Il piccione si rivolge al topino con un’affermazione soggettiva: «È un po’ di tempo che non vedo in giro la talpa». Il topino risponde con un’ipotesi: «Hai ragione! Magari è partita». Un altro topino sente solo l’ultima parte della frase e la trasforma in asserzione oggettiva, comunicandola al riccio: «Hai sentito che la talpa è partita?» Il riccio reagisce con disappunto, «poteva almeno salutare!». Lo scoiattolo, che dall’alto di un albero ha sentito solo quest’ultima parte, si precipita a dire al coniglio che la talpa è partita senza salutare, e il coniglio a sua volta formula un’ipotesi – sarà dovuta scappare – che viene poi divulgata come un’informazione accertata. E così via, di animale in animale, in questo telefono senza fili boschivo e chiacchierone. Le notizie vengono talmente gonfiate che si arriva ad affermare che la talpa è andata in America a fare un film. Il finale, come si può ben immaginare, è molto meno sensazionale, ma proprio per questo è divertente. E attraverso il divertimento i lettori impareranno fin da piccoli a intercettare le fake news e a diffidare del «sentito dire».