Fabrizio Silei-AntonGionata Ferrari, Il maestro Grumo e il maestro Tino, Il Castoro. Da 4 anni.
C’è brio in questa storia, che parla di maestri ma potrebbe parlare di chiunque, di tutti noi, Grumi o Tini, o un po’ Grumi e un po’ Tini. Il maestro Grumo vive in un appartamento disordinato e colorato, ha la barba lunga e una massa di capelli ricci e incolti, si entusiasma quando spiega arte, fa matematica nella natura ed è tutto creatività e intuizione. Il maestro Tino ha una casa organizzata e ordinata, si veste con cura, insegna a rendere facili anche le divisioni difficili, recita le poesie a memoria e le fa imparare anche ai bambini. Così diversi ed entrambi maestri, nella stessa scuola. Tra i loro alunni ci sono sia tipi Grumi che tipi Tini. Quando il maestro Grumo sbaglia una divisione, interviene Margherita, che somiglia un po’ a Tino, e lo toglie dai pasticci. E quando il maestro Tino deve disegnare alla lavagna, chiama Ignazio, che somiglia un po’ a Grumo, e sa disegnare benissimo.
Fin qui, una storia carina, portata avanti con il ritmo sapiente del testo di Silei e la straordinaria vivacità delle illustrazioni di Ferrari, e potrebbe anche bastare. Ma il colpo da maestro (è il caso di dirlo!) arriva con l’avvento di una nuova maestra, Biancaluna. E lei sì, che è un gran personaggio, perché con lei si va oltre il manicheismo dell’opposizione «genio e sregolatezza» versus «ordine e razionalità». Sarebbe troppo banale dividere così l’umanità, e i due autori, che banali non sono, lo sanno bene. E allora ecco la maestra Biancaluna, con una foresta di capelli incolti ma anche una camicia ben stirata e pulita. A volte dimentica il registro, ma non sbaglia mai una divisione. Quando spiega le poesie suscita emozioni ma al contempo le fa imparare a memoria. Biancaluna è armonia, è tinesca e grumesca insieme, questa è la sua forza, e questa è la forza a cui ogni piccolo lettore può ispirarsi, per andare oltre gli stereotipi, per integrare felicemente i vari aspetti di sé. Magari di base siamo un po’ più Tini o un po’ più Grumi, ma di certo non siamo solo questo, ed è bello trovare un equilibrio coltivando anche un’altra parte di sé. Come cercheranno di fare i due maestri, innamorati cotti, entrambi, di Biancaluna, fino al divertente finale. Anche questo non scontato!
Patricia MacLachlan, Quel prodigio di Rex, HarperCollins. Da 7 anni.
Nella sua lunga e tuttora rigogliosa carriera, la scrittrice americana Patricia MacLachlan ha offerto ai bambini libri che possono essere considerati dei piccoli classici, spesso su storie di famiglia e di crescita. Penso a titoli di successo come Album di famiglia, Sette baci ogni mattina, Primo amore, o Sara né bella né brutta (con cui ottenne la prestigiosa Newbery Medal nel 1986). Più recentemente ha aggiunto alle sue storie una sensibilità particolare per il tema delle parole, del linguaggio, della scrittura (come in Una parola dopo l’altra); e vi ha inserito anche il suo grande amore per i cani, che ne divengono non solo personaggi centrali, ma anche personaggi risolutori, o guaritori, dei problemi degli umani. Così è stato per Le parole di mio padre (Premio Andersen 2020). E così è per il recentissimo Quel prodigio di Rex, anch’esso uscito da HarperCollins.
«Mia zia Lily si occupa di parole. Passa il tempo ad amare le parole» dice la piccola Grace, che trascorre tanto tempo dalla zia, affascinata com’è, anche lei, dal linguaggio. «Scombussolata» e «prodigioso», ad esempio, sono due parole nuove, appena apprese da zia Lily, e racchiudono il senso di questa storia. La zia è una scrittrice, ma si trova in un momento di blocco, è scombussolata, appunto, di fronte alla pagina bianca, dove nessuna nuova storia riesce a nascere. Serve un pizzico di magia, qualcosa di prodigioso, appunto, e non potrà che essere un cane, un cane un po’ magico come Rex, che infonderà saggezza e fiducia nella capacità di trovare le parole per «districare e dare forma alle storie». Perché scrivere aiuta a capire e a capirsi meglio; aiuta a sciogliere i nodi delle emozioni, in questa nostra vita in cui, per fortuna e purtroppo, «le cose non stanno mai ferme».