Britta Teckentrup, Grande Riccio e Piccolo Riccio Aspetta un attimo!, Bohem (Da 3 anni)
Nel genere «storie della buonanotte», c’è un ulteriore sottogenere, molto frequentato, che potremmo chiamare «storie per procrastinare la buonanotte»: ancora un bacino, ancora una storia, ancora un gioco... com’è difficile per i più piccoli mollare la presa sul giorno e su tutte le cose che si devono ancora esperire, e abbandonarsi alla notte, al sonno. Ecco, su questo tema, un’ulteriore tenera e recente proposta, dell’autrice tedesca Britta Teckentrup, che nasce come artista e illustratrice: in effetti sono le illustrazioni, molto belle, intense, evocative, a dare pieno valore a questo libro. Siamo al tramonto, Grande Riccio e Piccolo Riccio stanno tornando a casa, ma per Piccolo Riccio ogni pretesto è buono per rimandare il rientro: possiamo aspettare che il sole tramonti? E poi: possiamo aspettare che sorga la luna? Possiamo annusare il profumo dei fiori? Possiamo salutare i gufi? Possiamo dare la buonanotte ai pesci? Quante meraviglie riserva il mondo, quante cose da scoprire ci sono per la prospettiva bambina, capace di incanti a ogni momento. Però, la giusta e amorevole accoglienza di queste richieste di assaporare ogni istante, dimenticando il trascorrere del tempo, va controbilanciata con il principio di saggezza (incarnato da Grande Riccio) che ricorda che si è fatto tardi e che contiene con delle regole i continui tentativi di Piccolo Riccio di alzare l’asticella: «Adesso andiamo Piccolo Riccio». Ma Piccolo Riccio ora si è addormentato, così come potranno fare, dolcemente accompagnati da questa storia, anche i piccoli lettori.
Joseph Coelho, Zombirentola. «Fiabe andate a male», Il Castoro (Da 9 anni)
La versione più macabra (e splatter) di Cenerentola. Le fiabe si prestano particolarmente a essere rivisitate, proprio per la loro appartenenza al folktale, al racconto originariamente orale, privo della paternità di un unico autore, e infatti siamo abituati, soprattutto nell’ambito della letteratura per l’infanzia, a innumerevoli riconfigurazioni parodistiche, ironiche, anche noir e gotiche. Ma questa Zombirentola – in perfetto mood Halloween – accentua, con ben dosata ironia, le tinte lugubri e iperbolicamente raccapriccianti, che sui ragazzini, si sa, hanno sempre molta presa. Eppure, e qui sta il valore che rende a tratti persino commovente questa rivisitazione, il macabro non è un compiacente inserto fine a sé stesso, ma è funzionale alla storia, una storia che parla, con trasparente accoglienza, della morte. All’inizio, Cenerentola (che ancora si chiama così) ha già affrontato la morte di esseri a lei cari: oltre alla madre (le cui ceneri porta in un ciondolo), il padre (avvelenato dalla matrigna), ha dovuto seppellire pure il suo cagnolino e il suo gattino, e nei primi capitoli muore, di vecchiaia e stenti, anche il suo adorato cavallo Zuccolo. Ma il clou è che, la famosa sera del ballo, mentre sorellastre (anzi NONsorelle, come le chiama l’autore) e matrigna (anzi NONmadre) sono a godersi la festa lasciandola a casa a pulire, Cenerentola cade dalle scale e muore. Pure lei. Fine della storia? No, proprio per niente, perché ecco apparire non la Fata Madrina, ma la Morte Madrina (gentile come la Fata peraltro), a offrirle il dono di ancora tre sere di vita per andare alle tre sere di ballo: «Rivivi, Zombirentola!» La carrozza sarà trainata (dettaglio commovente) dal suo cavallino Zuccolo («il suo solo amico. La sua sola famiglia») in forma di scheletro, e come cocchieri avrà, redivivi per l’occasione, il cagnolino e il gattino. Al ballo lei sarà la favorita, come da copione, mentre non da copione sarà il principe (molto più dark che azzurro), e varie altre sorprese arriveranno prima del finale, inaspettatamente gioioso, dolce, e pieno di speranza. Cornice della storia è quella di una biblioteca, nella sezione polverosa delle «fiabe andate a male», che un cortese e lugubre bibliotecario, voce narrativa del racconto (ben tradotto, nei suoi tratti ironicamente magniloquenti e arcaici da Maria Laura Capobianco) scopre per noi.