Robert Louis Stevenson, L’isola del tesoro, Einaudi (Da 8 anni)
«Se le storie di marinai, di pirati e di tesori sepolti possono piacere, come un tempo piacquero a me, anche ai giovani d’oggi, più smaliziati, allora vai avanti senza esitare…», così Stevenson si rivolge, prima di cominciare la narrazione, al lettore esitante. Fin dal 1883 ci si interrogava sui gusti dei giovani lettori, moderni e «smaliziati». E invece da allora L’isola del tesoro continua ad essere un libro che attraversa le generazioni «non avendo ancora finito di dire quello che ha da dire», per usare la definizione di «classico» di Italo Calvino. Compie 150 anni, questo grande classico, e colgo quindi l’occasione per celebrarlo, invitando a leggerlo e a riproporne la lettura, perché questa storia di mare e di pirati continua ad affascinare e inquietare. Ho indicato l’edizione Einaudi (tradotta da Massimo Bocchiola e con un saggio di Pietro Citati), ma le edizioni italiane sono tante, l’importante è che siano integrali.
Continua ad affascinare e inquietare i lettori, L’isola del tesoro, perché sotto la scintillante superficie di giocoso racconto d’avventura, si cela l’ombra dell’incubo. «Nemmeno se mi legassero e mi facessero trascinare da buoi, riuscirebbero a riportarmi in quella maledetta isola; e i peggiori incubi che mi opprimono sono quelli in cui mi sembra di udire la risacca che romba sulle sue coste…» scrive Jim Hawkins, il ragazzo protagonista e narratore, nell’ultima pagina. Perché incubo? Forse perché L’isola del tesoro è un romanzo straordinariamente moderno: un romanzo in cui la linea di confine tra bene e male non sempre è visibile, un romanzo in cui la stessa identità dei personaggi è cangiante, declinabile in molti modi.
Anche dal punto di vista strutturale accade così: il narratore è quasi sempre Jim, il punto di vista è quasi sempre il suo. Ma quasi sempre, appunto. Per un breve tratto il punto di vista è quello del dottore, ossia del mondo adulto, contrapposto a quello del ragazzo. Come a dire che i punti di vista possono essere tanti.
Il personaggio in cui questa inquietante confusione di bene e male più si concretizza è senz’altro Long John Silver, il capitano degli ammutinati, già quartiermastro del feroce pirata Flint ed ora mellifluo cuoco di bordo ed assassino efferato. Silver cambia bandiera più e più volte, tradisce i suoi amici, poi i suoi nemici, poi ancora i suoi amici e forse anche se stesso. Ma in fin dei conti chi sono i suoi amici? I pirati che non vedono l’ora di destituirlo, gli uomini dabbene che lo disprezzano, gli ex-compagni che lo temono, il lettore che prova sentimenti così contrastanti per quest’eroe negativo, che dice «quando un uomo va controvento come me, giocandosi la vita a fossetta, credo che possa meritare una parola d’incoraggiamento»?
La storia è costruita magistralmente, dal primo atto nella taverna del padre di Jim, al secondo di navigazione a bordo dell’Hispaniola, al potentissimo e serrato scenario dell’isola, fino all’ultima pagina, in cui, come in ogni grande racconto d’inquietudine e di avventura i cattivi hanno la peggio, sì, ma non lui, il genio tra i cattivi, l’ambiguo e mitico Silver, che scompare nel nulla, con la sua gamba di legno e la sua stampella, a fare i conti con le monete d’oro e con la sua coscienza.
Nicola Cinquetti-Aurora Cacciapuoti, Chiedimi scusa, Lapis (Da 3 anni)
In primavera, si sa, è tutto un fiorire di novità, tra Fiera di Bologna e Salone di Torino, ma oggi vorrei fermarmi un attimo a valorizzare, dopo un grande classico, un piccolo libro per piccoli uscito da qualche anno e assolutamente delizioso. Il tema è quello, nobilissimo, del chiedere scusa, ma qui viene trattato senza alcuna grevità, anzi con geniale grazia, creando una storia (e non un «libro a tema») che coglie perfettamente le peculiarità del mondo bambino, e che i bambini saranno entusiasti di sentirsi leggere e rileggere. Nicola Cinquetti ha questa capacità di porsi ogni volta all’altezza dei suoi lettori, sia quando si rivolge ai piccolissimi sia ai più grandi, offrendo loro storie argute e tenere, mai banali.
Qui c’è una rana che cade addosso a un grillo, ahia mi hai fatto male, chiedimi scusa almeno, dice il grillo. Io non ti chiedo scusa, dice la rana, è tutta colpa tua che non ti sei spostato. Fai la furba perché sei più grande, dice il grillo, voglio vedere cosa fai se chiamo il topo. Topo, topo, vieni a picchiare la rana che mi ha fatto male. Ma la rana chiamerà il gatto a picchiare il topo, e il topo allora chiamerà il lupo a picchiare il gatto, che lo vuole picchiare… e via così, in una di quelle catene narrative che tanto piacciono ai bambini e che si prestano molto bene anche alla lettura ad alta voce, fino al gran finale. Un finale in cui c’è una catena di scuse, come no, ma c’è anche una sorpresa che illumina ulteriormente tutto il libro.