Laura Orsolini, Villa Mannara, Pelledoca. Da 10 anni.
Potremmo dire che questa è una storia al maschile, perché i protagonisti sono due ragazzini – con il loro mondo fatto di giri in mountain bike, tiri al pallone, mappe immaginarie, pistole costruite con le mollette – ma soprattutto perché è il confronto con la figura paterna, cruciale nel racconto, a renderla tale. Federico il papà non ce l’ha più, sta ancora elaborandone il lutto mentre vive con la mamma e il suo compagno Giovanni, Maresciallo dei Carabinieri. Giovanni è un forte riferimento maschile, una figura solida, affettuosa, che maneggia con saggezza le armi, che combatte il crimine, e che sa anche fare un sacco di cose «da sballo», è bravo a sistemare le bici (o persino a «trasformarle» in scooter inserendo una bottiglietta di plastica tra il parafango e la ruota), tanto che Federico è spesso alle prese con un conflitto di lealtà, come se temesse, ammirando Giovanni, di tradire suo padre. Poi c’è Driss, di origini marocchine, che conosce Federico il primo giorno di prima media e ne diventa l’amico inseparabile, nonché il compagno d’avventure. Ogni giorno, dopo i compiti, i ragazzi inforcano le loro bici e perlustrano i dintorni del paese, spingendosi anche un po’ oltre il consentito, ma questa voglia di provare, pur con tutti i patemi, a varcare il limite, è proprio un imperativo della preadolescenza.
Federico e Driss stanno sul confine tra infanzia e adolescenza: se in quanto adolescenti si mettono alla prova tra coraggio e trasgressione, dell’infanzia hanno ancora tutta la passione per i mondi fantastici, come la mappa degli stadi immaginari (ai quali danno pure nomi veri: San Siro, Santiago Bernabeu, Maracanà...) che tracciano nei vari prati della periferia. Parallelamente a queste esplorazioni, si sviluppa però anche una loro indagine, perché non dimentichiamo che questo libro è un giallo, e che la casa editrice, Pelledoca, è specializzata in storie «di paura». Un’anziana donna è misteriosamente scomparsa, e Federico e Driss vorrebbero tanto essere gli eroi risolutori del caso. Che quell’inquietante villa proprio vicino al loro «Maracanà», nonché la strana donna che la abita e che furtivamente scava buche in giardino, abbiano qualcosa a che fare con il mistero? Un mistero che metterà alla prova i due giovani detective. Un’avventura a tinte gialle, ma anche, come dicevamo, una storia di crescita al maschile, alla ricerca di figure di riferimento – padri, insegnanti – a cui dare (o non dare) fiducia.
Letizia Iannaccone-Sonia Maria Luce Possentini, Il mio cane è come me, Terre di Mezzo. Da 4 anni.
Pur dando merito al testo di sapersi elegantemente contenere in incisiva sobrietà, va detto che la parte principale di questo albo sul rapporto cane-bambino è affidata alle illustrazioni di Sonia Maria Luce Possentini: il suo stile, così personale e immediatamente riconoscibile, anche in questo libro si caratterizza per l’uso sapiente della luce in immagini realistiche, ma con tratti energici di colore a rendere narrativa e più espressiva la realtà. Laddove in altri suoi lavori predominavano i bianchi e i neri, o una sorta di avvicinamento appena un po’ sfocato alla fotografia, qui sono i pastelli colorati a imprimere vitalità e dinamismo alla storia. Che poi, più che una storia, è un susseguirsi di emozioni legate alla vita di un bimbo e del suo cane, «una danza di amore incontenibile» come scrive la stessa Possentini in epigrafe, lasciando intuire che lei i cani li conosce bene. Non potrebbe essere altrimenti, guardando le espressioni e le posture dei protagonisti delle sue tavole. Il bambino e il cane comunicano tra loro intensamente, senza parole, l’empatia è tale che «a volte lui pensa di essere come me e io penso di essere come lui». Protezione, affetto, gioco, complicità, sostegno reciproco, fiducia, e tutto ciò che chi condivide la propria vita con un cane ben conosce. Così come si dovrà conoscere il dolore della perdita, ma il ciclo della vita continua, e quell’amore resterà per sempre, pur dando spazio ad altri bambini, altri cani.