Silvia Vecchini-Sualzo, Le parole possono tutto, Il Castoro. Da 12 anni.
Ancora una graphic novel convincente ci arriva dalla coppia Vecchini-Sualzo, per le Edizioni Il Castoro, che hanno ormai una tradizione consolidata nel pubblicare, accanto ai romanzi, anche fumetti di grande qualità. Sualzo è il nome d’arte di Antonio Vincenti, che dà vita con le sue tavole alla storia immaginata da Silvia Vecchini. Una storia che, pur partendo da un espediente narrativo già molto sfruttato nella letteratura per ragazzi – l’adolescente che, per aver commesso un’infrazione, deve trascorrere un periodo riparativo di volontariato in una residenza per anziani – si sviluppa però in modo originale e profondo. Sara è un’adolescente taciturna, che gira attorno a se stessa e alla sua rabbia: per la separazione dei suoi, per l’incidente che le ha lasciato una cicatrice sul volto – che lei copre con una tenda di capelli – per il litigio con la sua migliore amica. Sara parla poco, non ha più fiducia nelle parole, ed è come bloccata in un «sentirsi a pezzi» molto autoreferenziale, non a caso espresso da quella «S», iniziale del suo nome, con cui continua a «sporcare i muri» della città. Ecco, l’esperienza con gli anziani l’aiuterà sia a rimettere insieme i suoi pezzi, sia a uscire dalla sterile autoreferenzialità. Paradossalmente sarà proprio trovando se stessa, e dando suono alle sue parole, che potrà uscire da sé e andare verso gli altri, verso il mondo.
Sarà un anziano in particolare, il signor T, a fungere da Maestro: il signor T passa il tempo a scrivere l’alfabeto ebraico e raccontare antiche storie. Per il personale della residenza sanitaria è un ospite affetto da decadimento cognitivo, per Sara è invece una fonte di ispirazione, un amico, un incontro che le cambierà l’esistenza, fornendole, tra quelle ventidue lettere alfabetiche, un luogo dove rifugiarsi, rigenerarsi, e tornare a dare un senso alla vita. Ogni lettera dell’alfabeto ebraico è un concentrato di simboli, è un intero racconto. La parola crea il mondo, questo ci dice già l’Antico Testamento, sin dall’inizio. Bereshît… wajjômer ’elohîm; jehî ’ôr, Wajjehî ’ôr: «In principio, Dio disse: Sia la luce! E la luce fu» (Genesi, 1, 1.3). Anche per dare vita al Golem , il fantoccio di argilla di Rabbi Loew, bastò una parola tracciata in fronte. Questo racconta il Signor T a Sara, che a sua volta costruirà un golem, metafora del suo inconscio. Ogni capitolo della storia è introdotto da una lettera ebraica, la cui forma, nella tavola che Sualzo dedica ad ogni lettera, come un titolo ai capitoli, Sara riproduce con il suo proprio corpo, in una postura che esprime di volta in volta un’emozione. E la storia integra perfettamente i due piani: quello quotidiano, dello skateboard, della scuola, del primo amore, del ciondolo col cuore spezzato condiviso con l’amica-del-cuore; e quello di una saggezza spirituale antica, che darà a Sara le parole «per dirsi». Perché davvero le parole possono tutto.
Isaac Bashevis Singer, Il Golem, illustrazioni di Emanuele Luzzati, Salani. Da 12 anni.
Abbiamo parlato di Golem nella recensione precedente, in questo mese di giugno ricorre il centenario dalla nascita di Emanuele Luzzati, grande e poliedrico artista: e allora il pensiero non può non andare al bel racconto di Isaac Bashevis Singer, Il Golem, nel catalogo Salani con le illustrazioni del grande maestro italiano, che nacque a Genova, da famiglia ebraica, nel 1921. Costretto dalle leggi razziali a lasciare l’Italia, Luzzati si rifugiò a Losanna, dove si diplomò all’École des Beaux Arts e dove entrò in contatto con vari intellettuali, tra cui il regista Louis Jouvet e lo scenografo Christian Bérard, che gli accesero la passione per il teatro e la scenografia. Rientrato in Italia, Luzzati si espresse in ogni campo dell’arte: fu scenografo, costumista, illustratore, pittore, ceramista, autore di film d’animazione. La sua città, Genova, lo celebra ora con tante iniziative, diffuse in vari luoghi, tra cui una mostra a Palazzo Ducale.
Il nostro modo per rendergli omaggio è segnalarvi questa antica, bellissima, leggenda ebraica.