Francesco Fadigati, Ti aspetterò alla fine del mondo, San Paolo. Da 13 anni
Qualora venisse ancora letto (e ce lo auguriamo) tra una quindicina d’anni, da chi oggi non è nemmeno nato, questo libro avrebbe una funzione anche di romanzo storico, perché racconta, attraverso gli occhi di un adolescente, l’epoca più drammatica del Covid, quei mesi del 2020 del lockdown totale, delle strade deserte, di chi salutava per sempre i propri cari dal tablet dell’infermiera, dei morti portati via dai camion dell’esercito. Ma c’è anche altro – un sentimento più universale – in questa storia: c’è principalmente il percorso di crescita di un ragazzo che come tutti transita faticosamente attraverso l’adolescenza, tra rabbia, fragilità, paure, grandi domande, fino ad arrivare a intravvedere una strada, un senso, una consapevolezza di sé più profonda. Certo è che l’isolamento forzato dovuto alla pandemia complica le cose, lo spazio vitale è confinato tra le mura di casa, con la mamma e il fratellino, e il gruppo dei pari è ridotto alle icone con le facce dei compagni che compaiono sullo schermo del pc durante le videolezioni, o alle chat dei social. Il massimo che Nic può fare (cappuccio della felpa tirato sulla testa, musica a palla nelle orecchie) è una passeggiata (anche se «sono i vecchi che fanno le passeggiate») fino alla piazzetta. Ed è proprio lì, su una panchina nella piazzetta, che Nic conoscerà un uomo che avrà un ruolo importante, nella sua vita e nella vicenda. Quest’uomo, che è stato professore di lettere, lo aiuterà a capire l’Eneide e attraverso l’Eneide a capire sé stesso, gli accenderà una passione, sarà per lui una figura adulta di riferimento. All’inizio Nic vuole approfondire l’Eneide solo per far colpo su Chiara, la compagna di cui è segretamente innamorato, ma trovare un senso ai versi di Virgilio lo spingerà a cercare un senso anche nei grandi snodi della vita. E il ritrovamento di senso è reciproco, non solo di Nic: anche il professore, grazie a Nic, troverà una strada di guarigione. Fadigati è insegnante, e si vede: conosce bene il mondo degli adolescenti, che racconta con rispetto e empatia.
Hans Limmer-Lennart Osbeck, Il mio asinello Benjamin e io, Terre di Mezzo. Da 3 anni
Esce per la prima volta in italiano un classico tedesco per l’infanzia, Mein Esel Benjamin, pubblicato in originale nel 1968. In Germania è un albo notissimo, che ha incantato generazioni di lettori, e sfogliandolo ne possiamo capire le ragioni. Innanzitutto la tenerezza suscitata da questa amicizia tra cuccioli, una bimba e un asinello; le loro vicende semplici eppure in grado di suscitare emozioni universali, legate al conoscersi, all’acquisire fiducia, prendersi cura, condividere il tempo del gioco, del cibo, del lavarsi, del sonno e in particolare dell’esplorazione del paesaggio naturale circostante, vissuto con l’atteggiamento infantile di meraviglia, che ne intensifica ogni dettaglio e ne accresce la bellezza. Ma l’incanto, che sono certa si manifesterà ancor oggi, è soprattutto dovuto al fatto che questo è un albo fotografico: le immagini sono fotografie in bianco e nero del fotografo svedese Lennart Osbeck, che ritraggono, con naturalezza non compiaciuta (anche perché è difficile mettere in posa bimbi e animali), i due cuccioli protagonisti: la piccola Susi, figlia di Hans Limmer, autore dei testi, e l’asinello Benjamin, che Susi con il suo papà trovarono davvero, mentre vagava solo, sull’isola greca in cui tutta la famiglia (papà, mamma, Susi e la sorellina Angelica) era andata a vivere. Da uno spunto reale nasce dunque questa storia, raccontata direttamente da Susi, con un linguaggio che dell’infanzia rende bene la prospettiva. Susi comincia a raccontare dal giorno in cui, tra gli scogli, trovò l’asinello, e poi pagina dopo pagina, ce ne fa seguire le esperienze quotidiane, che si fanno più tumultuose durante uno sconfinamento dal rassicurante perimetro famigliare che entrambi intraprendono: si allontanano troppo da casa, Susi non trova più la strada per tornare, ma sarà Benjamin a guidarla tra le braccia di mamma e papà. Anche questo perdersi e ritrovarsi, questo piccolo viaggio di sei piedini alla scoperta del mondo, fa parte della bellezza, così immediata, del libro.