Viale dei ciliegi

/ 30.05.2022
di Letizia Bolzani

Alessandro Pasquinucci, Alive, Pelledoca. (Da 13 anni)

L’altra faccia dell’estate, l’altra faccia dell’isola vacanziera, l’altra faccia delle persone, l’altra faccia della realtà. Sul lato-ombra delle cose si gioca la trama di questo thriller del giovane scrittore italiano Alessandro Pasquinucci. Un lato-ombra proprio nel senso di oscuro (questo romanzo è in effetti innegabilmente un noir), ma anche di unheimlich, di perturbante, perché ciò che sembra familiare non lo è affatto. Un amico, una madre, un amore, chi sono veramente? Persino la «casa», quell’heim al centro del termine unheimlich, nell’accezione di Freud, può svelare insidie tra l’apparenza rassicurante e domestica delle sue pareti. E così la casa all’isola d’Elba, dove Pietro invita il suo amico Giulio, può essere gioioso e solare scenario di cene estive e di flirt tra adolescenti, ma diventa anche, nel buio di una notte d’inverno, temporalesca e sferzata dal libeccio, un luogo inquietante, gelido, polveroso e disordinato. Proprio il «disordine» assume valenza di metafora in questa storia, condotta in terza persona ma focalizzata attraverso la prospettiva di Giulio, perché i «pezzi» del passato e del presente sembrano non incastrarsi, tutto è dissonante e disarmonico, e i due piani narrativi (inverno presente e flashback nell’estate passata) accentuano questo labirintico effetto. Ciò che sta accadendo quell’inverno è per Giulio inspiegabile. Alice, la bella, carismatica, Alice, intenso amore di Giulio nell’estate precedente, non si è più fatta viva dopo il loro ultimo appuntamento estivo, al quale Giulio non aveva potuto presentarsi. Neanche più un messaggio, anzi lei l’aveva addirittura «bloccato» nella chat. E poi, all’improvviso, dopo sei mesi, ecco riapparire un messaggio della ragazza, seguito da altri, sempre più enigmatici, nei quali lei chiede a Giulio di andare a salvarla, perché è in pericolo.

Giulio tornerà all’Elba e si metterà sulle tracce di Alice (e anche di un senso da dare a questa storia). Verrà raggiunto da Pietro, e poi anche da Linda, la migliore amica di Alice. Ecco ricomposto il quartetto, quattro tipologie canoniche: Alice, la carismatica assente; Linda, l’amica meno bella ma eccentrica e «simpatica»; Pietro, l’amico timido e «sfigato»; Giulio, sfrontato, piacente e sicuro di sé. Più un comprimario, Massimo, ex di Alice, violento e stalker. Ma su tutti aleggia quella che forse è la presenza più importante nella storia, ossia la tecnologia pervasiva, per cui le barriere tra reale e virtuale tendono a cadere e il nostro vivere, secondo il celebre neologismo coniato dal filosofo Luciano Floridi, non è né offlineonline, ma «onlife», ibrido.

Megan Hoyt-Iacopo Bruno, La bici di Bartali, HarperCollins. (Da 5 anni)

Il Giro d’Italia si è appena concluso e questo bell’albo può essere una buona occasione per prolungarne lo spirito, e prepararci all’imminente Tour, quel Tour de France in cui, in un torrido giorno dell’estate 1938, trionfò Gino Bartali, leggenda del ciclismo e «giusto tra le nazioni». Proprio questa seconda sfaccettatura eroica della sua persona è raccontata ai bambini nel libro, scritto a loro misura dall’autrice americana Megan Hoyt, ben tradotto da Enrico Brizzi e splendidamente illustrato dall’artista italiano Iacopo Bruno.

Ciò su cui La bici di Bartali si concentra sono appunto le coraggiose imprese umanitarie di resistenza al nazifascismo che Gino compì in sella alla sua bicicletta, nel cui telaio nascondeva documenti di identità falsi da consegnare agli ebrei nascosti in diverse città italiane, per aiutarli a fuggire. Inoltre egli diede ospitalità a una famiglia ebrea nella sua cantina, e fece molte altre generose azioni in favore dei perseguitati, salvando più di ottocento vite, tanto che nel 2013 lo Stato di Israele gli attribuì lo stato di «Giusto tra le nazioni», come ci ricorda il sottotitolo di questo libro: la storia di un eroe segreto e di un giusto tra le nazioni. Anche se il mitico Gino, che tenne per sé tutto ciò che fece (e di cui si venne a sapere solo molto più tardi) non si sentiva un eroe. Gino diceva: «i veri eroi sono quelli che hanno sofferto. Io sono solo un ciclista». Frase che fa il paio con quell’altra, che ben rende il suo grande cuore: «Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca».