Marta Palazzesi, Le avventure del giovane Lupin, Salani. Da 11 anni.
La settimana scorsa ero in una scuola media ticinese a proporre libri agli studenti (il primo incontro in presenza dopo una lunga pausa) e quando ho detto «questo romanzo parla di Lupin» i loro occhi si sono illuminati sopra la mascherina (con le mascherine, quella luce nello sguardo di un pubblico di ragazzini, così preziosa per chi conduce l’incontro, sfolgora ancora di più). Sì, perché il personaggio di Lupin a loro dice qualcosa: amplificato dall’attuale serie televisiva prodotta da Gaumont e pubblicata su Netflix, e ancor prima da altre serie, tra cui il cartone animato giapponese (con la celebre sigla Lu-pin, Lu-pin, l’incorreggibile...), Lupin è come un vecchio amico a cui agganciare l’interesse, e rendere più intima questa nuova lettura.
Una rilettura davvero nuova, perché, ispirandosi come le altre al personaggio creato ai primi del Novecento dallo scrittore francese Maurice Leblanc, si concentra sull’adolescenza del celebre ladro gentiluomo. Marta Palazzesi prende infatti le mosse da un orfanotrofio parigino in cui il giovane Lupin trascorre le sue tristi giornate, in un incipit che evidenzia da subito l’abilità narrativa con cui è condotto il romanzo: «Rubare è sbagliato, dicono tutti. Non se lo fai per i motivi giusti, dico io. Soprattutto se hai undici anni, vivi in uno degli orfanotrofi più squallidi della città e sei l’unico in grado di scassinare la serratura della dispensa. Era la notte di Natale del 1886». Ma quella notte, mentre Lupin ruba dalla dispensa un po’ di cibo per i più piccini, infreddoliti e affamati, la perfida direttrice dell’orfanotrofio lo sorprenderà e lo butterà fuori, scalzo, al gelo, nella neve. «Gettarmi in strada fu il più grande regalo di Natale che avrebbe potuto farmi. Perché è così che ebbero inizio le mie avventure». E con un salto di tre anni, arrivando al 1889, hanno inizio Le avventure del giovane Lupin, in pagine ben ritmate che ci portano nei quartieri malfamati di Parigi, tra personaggi malvagi e altri dal grande cuore; nel tendone del Cirque d’Hiver, con una giovane funambola e un domatore d’elefanti; e nel cuore dell’Esposizione Universale, con la grande attrazione della Torre Eiffel. Un contesto nelle corde della Palazzesi, perfettamente a suo agio con le atmosfere dickensiane dei ragazzini di strada nelle città di fine Ottocento, come già avevamo apprezzato nel suo romanzo Nebbia (ambientato invece in Inghilterra). Da pochi giorni è in libreria il secondo volume delle avventure del giovane Lupin: Il mistero del giglio, edito come il precedente da Salani.
Petr Horáček, Quando la luna sorride, Gribaudo. Da 3 anni.
Tutto imperniato sulle belle illustrazioni dell’artista praghese Petr Horáček, e sull’idea, semplicissima ma efficace, che dà forma alla narrazione, questo delizioso albo è una storia della buonanotte che si candida ad essere raccontata più volte, per più serate, seduti sul lettino del bimbo che segue, magari anche con il ditino, le stelle che, pagina dopo pagina, la luna accende nel cielo. «Questa è per il cane», dice la luna, e il cane si addormenta nella sua cuccia, e c’è un cane, e una stella. «Questa è per i gatti», e i gatti sono due, e adesso anche le stelle sono due. Poi ci saranno tre mucche, e tre stelle. Fino a dieci, con dieci falene danzanti nel cielo notturno.
Da uno a dieci, come nel più canonico dei libri per imparare a contare, ma qui non è tanto (o non solo) l’imparare a contare che interessa, quanto la calda e rassicurante progressione ritmica delle stelline che la luna, materna, accende nel cielo per augurare la buonanotte agli animali: «questa è per il cane, questa è per i gatti, questa è per le mucche...», una luna ancora più rasserenante se interpretata dalla voce del genitore, un «questa è» alla volta, come quando si fa la pappa, con ogni cucchiaiata che diventa «questa è per...»; o nelle rime delle cinque dita, «questo dice ho fame...»
Così la luna sorride, perché ogni cosa è andata al suo posto. Non per forza a nanna: i gatti, le volpi, i pipistrelli, le falene, i topolini no. Ma il cane, le mucche, le pecore, i porcellini, le oche e... i bimbi sì!