Viale dei ciliegi

/ 19.06.2017
di Letizia Bolzani

Judith Kerr, Una foca in salotto, Rizzoli. Da 8 anni

Un romanzo breve, ispirato a un episodio accaduto al padre dell’autrice (anche se conclusosi in modo molto meno felice), dove si narra di un mite signore inglese che non ha cuore di abbandonare un cucciolo di foca orfano avvistato su uno scoglio, durante una vacanza al mare, e lo porta con sé nel suo appartamentino di città. Sta proprio nel ritratto del mite signore inglese, Mister Cleghorn, uno degli aspetti più riusciti del libro: lo troviamo all’inizio seduto sul suo balcone a guardare l’alba, chiedendosi come avrebbe occupato la lunga giornata che aveva davanti. È solo, ha appena venduto il suo negozietto di giornali, tabacchi e caramelle e ora lo statuto di pensionato gli mette malinconia: perciò accetta l’invito del cugino, che fa il pescatore sulla costa. Sarà durante quel soggiorno che vedrà un cucciolo di foca, solo e deperito, chiamare invano la madre, probabilmente uccisa dai pescatori, determinati ad avere il monopolio sul pesce. «Me ne occuperò io», decide Mister Cleghorn, la cui gentilezza è resa audace da un briciolo di incoscienza. Così lo porta in città, dentro una vasca di latta, viaggiando accanto a lui nel vagone bagagli. Arrivano di notte, e per percorrere il tragitto dalla stazione a casa Mister Cleghorn usa un carrello per le valigie, su cui spinge il cucciolo, «che alzava lo sguardo meravigliato verso ogni lampione». Non sarà facile eludere la sorveglianza del portiere, non sarà facile allevare il piccolo, e soprattutto non sarà facile gestirlo man mano che diventa grande. Del salvataggio della piccola foca racconta il romanzo, ma non solo. Racconta anche di un gentile signore di mezz’età un po’ spaesato che nel suo audacissimo progetto trova aiuto in una gentile signora di mezz’età, sola anche lei. Ed è questa mitezza audace, questo fertile «spaesamento» rispetto all’habitat e alle convenzioni, il nucleo del libro, sin dalla bella copertina, che ci presenta frontalmente, con lo sguardo volto al lettore, Mister Cleghorn e la sua foca seduti in salotto. Anche le illustrazioni sono della Kerr, e indubbiamente valorizzano il testo (tradotto con cura in italiano da Bérénice Capatti). Judith Kerr, nata a Berlino da famiglia ebrea nel 1923, per sfuggire al nazismo emigrò in Gran Bretagna, dove vive tutt’ora. Il suo romanzo più celebre, anch’esso d’ispirazione autobiografica, è Quando Hitler rubò il coniglio rosa. Da segnalare anche il delizioso albo –dal titolo che riecheggia lo spaesamento della foca in salotto – Una tigre all’ora del tè.

Daisy Meadows, serie «Magic Animals», Salani. Da 6 anni

Due bambine, tanti animaletti in pericolo, un tocco di magia, un portale che conduce dal mondo reale al mondo fantastico, storie scorrevoli, pagine graficamente gradevoli, dall’interlinea ben spaziato, arricchite da tante illustrazioni carine e vivaci: piaceranno sicuramente alle piccole lettrici le storie di questa nuova serie, «Magic Animals», di Daisy Meadows, pseudonimo di 4 autrici inglesi. In italiano le pubblica Salani e sono appena usciti i primi quattro titoli, ognuno con un’avventura in sé conclusa, ma tutti con il riferimento alla stessa cornice narrativa: due amiche del cuore, Lily e Jess, la clinica Diamociunazampa dove i genitori di Lily curano gli animali del bosco, una gatta magica di nome Goldie che ha il potere di condurre le bambine nel mondo magico e segreto della Foresta dell’Amicizia, varcando con loro una porticina sul tronco di una quercia incantata. Di là da quella porticina, nella Foresta dell’Amicizia, gli animali sono minacciati dalla cattiva strega Griselda e cercare di salvarli sarà l’arduo compito delle bambine. Con coraggio e intraprendenza porteranno a termine ogni volta una missione. Apre la serie il romanzo Lucy Lunghibaffi è scomparsa: è il primo giorno delle vacanze estive e Lily e Jess, guidate da Goldie, devono sottrarre dalle sgrinfie di Griselda e dei suoi perfidi aiutanti la coniglietta Lucy. Al termine dell’avventura torneranno nel mondo reale, proprio come fanno i bambini al termine delle loro erranze nel «facciamo che eravamo».