Ole Könnecke, Le nuove avventure di Lester e Bob, Beisler Editore. Da 6 anni
Bob è un orso, Lester un’oca. Ingenuo, lento, generoso Bob; furbo, intraprendente, fanfarone Lester. Complementari, amici nelle loro diversità. Come tutte le coppie del comico – del prototipo di Stanlio e Ollio, per intenderci – ci offrono piccole esilaranti avventure del quotidiano. Perché è dall’interazione tra i due che scaturisce l’effetto umoristico. I bambini sorrideranno sin dalla prima di queste avventure, Su Lester si può contare, quando, dopo un susseguirsi di «C’è da pulire il tubo della grondaia di Lester. Bob gli dà una mano. C’è da tagliare il prato di Lester. Bob gli dà una mano», la conclusione ribalta in modo lapidario la situazione: «C’è da mangiare la torta ai lamponi di Bob. Lester gli dà una mano». È quindi a posteriori che il titolo della brevissima storia acquista l’ironia.
Il punto di vista è sempre quello di Bob, come inferiamo dai titoli e dalla prospettiva di narrazione: ad esempio la terza avventura, Lester rimane a bocca asciutta, inizia così: «Per fortuna Lester non sa che oggi è giorno di dolci. Bob è stato furbo e non glielo ha detto». Invece Lester lo sa benissimo e travestendosi da controllore delle torte riesce a mangiarla quasi tutta. Ma noi lettori ci identifichiamo, è ovvio, con quell’adorabile tontolone di Bob. Il quale a volte, senza neanche rendersene conto, non ne esce poi così sconfitto, anzi. Del resto Lester sa essere un vero amico, «che si prende cura di te», come dimostra nell’ultima, poetica avventura.
Lo svedese Ole Könnecke nasce come illustratore e infatti le illustrazioni hanno qui un ruolo fondamentale. Solo la pagina di sinistra è occupata dal testo (peraltro in formato grande e in stampatello, in coerenza con la collana «Leggo già» dedicata ai primi lettori), mentre la pagina di destra ospita ogni volta un’ immagine. Beisler Editore ha pubblicato molti dei suoi libri illustrati, e il primo titolo dedicato a Lester e Bob (Le avventure di Lester e Bob) ha vinto l’anno scorso il Premio Orbil per la narrativa 6-9 anni.
David Almond, Mio papà sa volare!, Illustrazioni di Polly Dunbar, Salani. Da 8 anni
Un nuovo libro di Almond, questa volta dedicato a lettori più piccoli, ma percorso anch’esso da quella vena surreale – delicata e inquietante al contempo – che incide una salvifica crepa sulla superficie razionale del mondo. Anche stavolta, come già in Skellig, si parla di esseri alati, ma qui chi ha le ali non è una strana creatura venuta da un altrove, bensì un normalissimo papà. O meglio, l’uomo che una volta era un normalissimo papà, e che ora è una persona che dopo la morte della moglie sta sconfinando verso la follia: trasandato, in vestaglia e ciabatte bucate, insegue febbrilmente il desiderio di volare come un uccello. Si costruisce delle ali, vuole partecipare a una gara di volo, coinvolgendo anche la sua bambina, Lizzie.
Il fulcro della storia è proprio in questo coinvolgimento di Lizzie, la quale, se da un lato si trova a dover assumere sulle sue piccole spalle la responsabilità di un ruolo «adulto» che non spetterebbe a lei, dall’altro ha la saggezza – diversamente dalla zia, che s’impunta sul voler ricondurre il papà alla ragione – di comprendere che a volte c’è bisogno di dare spazio ad un ascolto profondo dell’altro, anche nella sua componente irrazionale. E che forse, per aiutare il papà, occorre mettersi in gioco sul suo stesso terreno. Il loro diventa quindi un gioco simbolico, quasi un «facciamo che eravamo uccelli», che non a caso passa anche dalla costruzione di un nido in cucina, metafora efficace di un ricostruirsi come famiglia dopo il lutto.
Viene in mente quella favola ebraica della tradizione chassidica Il principe che si credeva un pollo, in cui il saggio riesce a «curare» il principe andando sotto il tavolo a becchettare insieme a lui, trovando il coraggio di raggiungerlo sul suo stesso terreno.
Nel caso di Lizzie e del suo papà, una volta esaurito il «gioco» (con l’ovvio fallimento del volo, nonostante le bellissime ali), si può riscoprire la gioia del ritrovarsi insieme, condividendo un ricordo gioioso («È stato così bello!»), e apprezzando tutto il sostegno dell’amore, anche di quello più pratico e razionale della zia Doreen. Allora sì che si può ricominciare a festeggiare, danzando «come uccelli» intorno al tavolo.