Viale dei ciliegi

/ 03.07.2017
di Letizia Bolzani

Rumer Godden, La bambina selvaggia, Bompiani. Da 10 anni

Preziosa operazione editoriale, questa di Bompiani, che propone due classici della letteratura per l’infanzia del Novecento, celebri in ambito anglosassone. Si tratta di due romanzi della scrittrice angloindiana Rumer Godden (1907-1998): La bambina selvaggia e Bambole giapponesi, usciti quest’anno nell’accurata traduzione di Marta Barone. Cominciamo con il segnalare La bambina selvaggia, pubblicato in inglese nel 1972, vincitore del Whitbread Award e diventato in patria anche una pièce radiofonica e una serie televisiva. L’energia visiva delle storie della Godden le rende con naturalezza trasformabili in immagini filmiche (da due suoi romanzi per adulti, Narciso nero e Il fiume, vennero tratti dei celebri film), ma va sottolineata prima di tutto la forza della scrittura: apparentemente semplice ma scorrevole e densa; dotata di un ritmo tranquillo, che narra le piccole cose della vita di adulti e bambini in un villaggio inglese degli anni Sessanta, eppure trascinante nel suo scandire la trama.

Una trama incentrata sulla piccola protagonista, Kizzy Lovell, che è una diddakoi (The Diddakoi è il titolo originale), ossia «una zingara per metà» (per l’altra metà è di sangue irlandese) e come tale trattata con sospetto e paternalismo da molti abitanti del villaggio, in particolare da un gruppo di compagne. La Godden parla di bullismo in anni in cui non lo si faceva come ora, e lo fa con un’acutezza di cui ora si avrebbe bisogno, ad esempio nel tratteggiare le figure di adulti apparentemente «illuminati» come la giovane maestra Mrs Blount e suo marito, assistente sociale. Mrs Blount è convinta di avere il controllo della situazione, eppure tutto le sfugge comunque di mano e non riesce ad arginare le angherie. Con zelo politicamente corretto mette a tacere Miss Brooke, che dice «zingari»: «– I nomadi – la corresse Mrs Blount». Ma Miss Brooke ribadisce: «A me piace il nome antico».

Kizzy vive con la nonna in un carrozzone, dentro il frutteto dell’Ammiraglio Twiss, un gentiluomo burbero e rustico, ma in grado più di altri di accogliere la differenza. E quando la nonna morirà e alla bambina si dovrà trovare una sistemazione, saranno proprio l’Ammiraglio e Miss Brooke a rivestire un ruolo essenziale. Non sarà facile, perché Kizzy non ha un carattere facile: c’è qualcosa in lei di «selvaggio» appunto, di irriducibile. Occorrerà accettare quella diversità e venire incontro alla sua esigenza di trovarsi un posto eccentrico rispetto alle abitudini della maggioranza. E allora tutto potrà trovare un suo equilibrio, un «lieto fine» all’insegna dell’amicizia e dell’amore ma senza sdolcinature. 

Rumer Godden, Bambole giapponesi, Bompiani. Da 10 anni

Nei limiti dello spazio che ci rimane, non possiamo non segnalare anche l’altro toccante romanzo della Godden, Bambole giapponesi, che con La bambina selvaggia condivide la forza della scrittura (qui meno aspra, forse più rassicurante negli interventi della voce narrante che si rivolge direttamente ai piccoli lettori) e molti temi, a cominciare da quel sentirsi fuori posto, «strani e infelici», privi di una casa da abitare davvero come propria. È quanto accade alla piccola Nona che, come la Mary Lennox del Giardino Segreto, arriva, spaesata, in Inghilterra dall’India. Nona però, a differenza di Mary e anche della Kizzy «bambina selvaggia», è una bambina mite, «gentile e intelligente», con la sensibilità di capire (distinguendosi dalla prepotente cuginetta Belinda) che quelle due bambole giapponesi arrivate per posta come dono da una prozia, «non sono strambe. Sono giapponesi». E hanno bisogno di «una casa delle bambole giapponese».

C’è un’evidente simmetria tra lo straniamento delle bambole e quello di Nona, anche lei spedita in Inghilterra come un pacco: una simmetria accentuata dal bellissimo incipit, che mette in scena quasi in parallelo l’arrivo delle bambole e quello della bambina. La stessa Godden, che visse tra Inghilterra e India, dove aprì (a Calcutta) una scuola di danza per bambini inglesi e indiani, e dove alloggiò (in Kashmir) sola con le figlie, in una house boat, sapeva bene cosa significasse lo spaesamento.

Anche qui brilla la luce rude di «un vecchio e onorevole gentiluomo», il libraio Mr Twilift, che sa comprendere «cosa vuol dire essere molto lontano da casa». E anche qui il finale rimette in equilibrio la situazione dando una nuova possibilità a tutti i personaggi.