Viale dei ciliegi

/ 08.02.2021
di Letizia Bolzani

Antonio Ferrara, La guerra di Becky. L’Olocausto del lago Maggiore, Le Rane Interlinea. Da 10 anni. 

Un libro non solo per la Giornata della Memoria, ma per ogni giornata. Perché ai ragazzini, con il giusto linguaggio, si può parlare del male, affinché nel futuro – quando gli adulti saranno loro – non si ripeta mai più. Antonio Ferrara ha già scritto di temi analoghi (ad esempio nel recente La corsa giusta, sul coraggio di Gino Bartali, «Giusto tra le Nazioni») e l’impegno civile fa parte della sua intera opera. Un impegno che Ferrara sintonizza spesso su una prospettiva bambina attraverso la quale offrire la storia. La guerra di Becky è un bel titolo, e Becky è realmente esistita: Rebecca (Becky) Behar (1929-2009), ebrea di origini turche cresciuta a Milano e sfollata con la famiglia a Meina, sulla sponda piemontese del lago Maggiore, dove il padre aveva un albergo, quell’Hotel Meina in cui vennero tenute in ostaggio dai nazisti molte famiglie ebree, poi trucidate e gettate nel lago. Fu l’eccidio del lago Maggiore, la prima strage di ebrei avvenuta in Italia, tra il settembre e l’ottobre del 1943. Non è di Becky la guerra, è di adulti assassini in cui ogni valore si è spento, ed è la guerra subita da milioni di persone innocenti. Tuttavia è la sua in questa storia, perché ce la racconta lei, con il suo sguardo (visivo e etico) quotidiano, che contempla anche i giochi con gli altri bambini (finché si potrà, prima di essere rinchiusi nella famigerata camera 402); l’amicizia (e forse il primo timido amore) con Johnny, dagli occhi azzurri brillanti come il lago; l’affetto che la lega al suo cagnolino Tobi. Gli occhi azzurri di Johnny si spegneranno per sempre nel lago, Johnny non sarà mai l’ingegnere che sognava di diventare. E anche Tobi sarà vittima della sconcertante gratuità del male. Becky sopravviverà e non si stancherà di raccontare la sua storia (in un Diario e in svariate conferenze).

Proprio quest’anno, per la Giornata della Memoria, il LAC con l’Associazione Svizzera-Israele ha organizzato un evento online con la testimonianza di Rossana Ottolenghi, figlia di Becky, e con un toccante video nel quale vediamo la stessa Becky raccontare molti degli episodi dai quali Ferrara ha tratto il suo libro (https://www.youtube.com/watch?v=5-nD2y-2QgE). Tra cui la fuga in Svizzera, dove la prima cosa che le venne offerta (da un soldato elvetico, inizialmente e con terrore scambiato per tedesco) fu una tavoletta di cioccolato. Come ha sottolineato Rossana Ottolenghi, sono «leggerezza» e «grazia» a connotare il discorso della madre: a questa grazia, nell’intensità della tragedia, si è ispirato Antonio Ferrara, che è autore anche delle espressive e belle illustrazioni.

Guido Quarzo, Il bambino, la volpe e il buio, San Paolo. Da 8 anni. 

Come nel precedente romanzo, 1958. Le storie in tasca, Guido Quarzo torna agli anni della sua giovinezza. Siamo in estate, in campagna, a casa dei nonni, dove il piccolo Nino si muove tra infanzia (il calore rassicurante della nonna, i giochi con i soldatini, le paure inconfessabili del buio e dell’ignoto) e preadolescenza (i discorsi tra uomini con gli amici del nonno, le prove di coraggio, le battute di caccia). In questo mondo contadino, dove nulla è edulcorato, dove galline e conigli vengono allevati per essere mangiati, e la realtà sembra spadroneggiare in tutta la sua materica presenza, ecco arrivare una volpe, che fa razzie nel pollaio. Sarà proprio la volpe, creatura la cui selvatichezza per certi versi sfuggente e misteriosa ha ispirato tanta letteratura (penso in particolare allo splendido racconto La volpe alla mangiatoia di Pamela Lyndon Travers, autrice di Mary Poppins, o a La signora trasformata in volpe di David Garnett, a cui lo stesso Quarzo afferma di essersi ispirato) a dare una svolta metafisica alla vicenda: Nino è così colpito da questa inafferrabile volpe da farla diventare una sorta di «animale totem», uno spirito guida al quale ispirarsi per trovare la forza di crescere. Diventerà egli stesso una volpe, come nel gioco del «facciamo che ero», e che lo diventi realmente o solo nei suoi sogni poco importa. Quello che importa è che essere un po’ volpe (quel meraviglioso ibrido bambino-animale di cui è intessuto l’immaginario infantile) lo aiuterà a diventare grande. Un racconto realistico e simbolico al contempo, una di quelle estati che ti cambiano la vita.