Viale dei ciliegi

/ 12.12.2022
di Letizia Bolzani

Lenina Barducci e Chiara Ficarelli, L’altroPulce (Da 3 anni). 

Che meraviglia questo albo. Ti conduce, attraverso una storia semplice e potente, a un finale di meraviglia, nel senso platonico di sguardo inedito sul mondo, quello sguardo che ti spinge a porti profonde domande di senso. È un silent book, ma in questo silenzio quante cose accadono, raccontate dalle immagini di Chiara Ficarelli, sulla base di un’idea e una sceneggiatura di Lenina Barducci. C’è un gorilla, e c’è un bambino. Campo e controcampo. Chi è l’altro? Ciascuno dei due, a seconda del punto di vista. Perché questa è una storia (anche) di punti di vista. C’è un bambino, c’è un gorilla, e c’è una gabbia. Uno dentro, l’altro fuori. Questa è una storia (anche) di dentro e di fuori. Di recinti e di libertà. Di qui e di altrove. Di soglie tra il qui e l’altrove, quelle soglie che i bambini sanno attraversare così bene. E di soglie tra io e l’altro, quelle soglie che all’inizio tengono a distanza, e poi, se nasce una relazione, possono stemperarsi e farci avvicinare. Il bambino, sulla pagina di sinistra, guarda il gorilla, al di là delle sbarre. Il gorilla, sulla pagina di destra, guarda a sua volta e al contempo il bambino, al di là delle sbarre. Nasce una relazione, prima cauta, poi fiduciosa, fatta di sguardi e di movimenti.

Un dialogo di sguardi e movimenti, in questo libro che non poteva che essere un silent, perché i gorilla non parlano un linguaggio di parole, e questo gorilla, così efficacemente creato in immagini da Chiara Ficarelli (che riesce a mantenere un suo eccellente tratto personale, senza appiattirsi sul modello del celebre illustratore di gorilla Anthony Browne) non è umanizzato. È un animale, in tutta la sua dignità, fiera e giocosa. Anche il bambino è un animale, umano però. L’altro è una storia di soglie, e la soglia non è solo la gabbia, ma anche ciò che mi separa dall’Altro, dal diverso: questa soglia è perfettamente rappresentata, nel libro, dalla piega centrale della rilegatura tra la pagina di sinistra e quella di destra, che qui acquista proprio una funzione narrativa, di confine. Un confine che, nella meravigliosa sorpresa finale, un personaggio riuscirà a superare, passando letteralmente dall’altra parte, dalla parte dell’altro, sull’altra pagina, dando la mano all’altro, verso l’Altrove.

Eric Fan e Dena Seiferling, Spuntino di mezzanotteTerre di Mezzo (Da 4 anni). 

Onirico, gentile, elegante, tra i 10 migliori albi illustrati del 2022 nella classifica «New York Times» e «New York Public Library». Il titolo Spuntino di mezzanotte forse rimpicciolisce il fascino sontuoso di questa storia, che non è il racconto di uno che apre il frigo in cucina di notte (per dire), ma un’intensa storia di condivisione e di cura. Night Lunch, questo è il titolo originale, fa riferimento a quei carri, trainati da un cavallo, che di notte, a fine Ottocento, giravano per le città americane vendendo cibo a tutta un’umanità notturna composta ad esempio da reporter, poliziotti, gente dello spettacolo, operai, infermieri. Ristoranti notturni su ruote, cibo caldo per viandanti infreddoliti. Antesignani, molto più poetici, dei nostri fast food o take away. In rete si trovano diverse fotografie, o manifesti pubblicitari, di questi Night Lunch Wagons, e molti recavano l’insegna «The owl», il gufo. Evidentemente in riferimento al fatto che il gufo è un animale notturno. In Spuntino di mezzanotte è proprio un gufo il cuoco di questo carro ristorante, che arriva, con le sue lucine, trainato da un cavallo bianco, nella città buia e silenziosa. «Clippete cloppete, zoccoli e ruote/La luna illumina le strade vuote…».

Il testo poetico, splendidamente tradotto da Chiara Carminati, è dell’autore canadese Eric Fan, del duo The Fan Brothers (celebri per Il giardiniere notturno o La meraviglia caduta dal cielo). Qui però Eric non è in coppia col fratello, perché le immagini sono di Dena Seiferling, al suo esordio in Italia. E sono immagini spettacolari, notturne ovviamente, ma calde, riscaldate dai toni seppia, dall’espressività dei personaggi e da un alone di magia. Il gufo dunque cucina per la volpe, per il tasso, per le falene, per gli opossum, a ognuno un manicaretto, ma c’è chi non può permettersi un pasto, e costui è un topo che fa il netturbino nell’oscurità delle strade. Un topino tremante e affamato, che il gufo scorge, alle prime luci dell’alba, mentre sta per chiudere il suo carro ristoro. Non a caso gli autori hanno scelto un topino, creatura infima e preda dei gufi nella realtà. Ma qui siamo in un mondo magico e onirico, un mondo dove può accadere che un gufo cuoco inviti un topino alla sua mensa, e lo ristori davvero.