Sara Pennypacker, Pax, illustrazioni di Jon Klassen, Rizzoli (Da 11 anni).
È una tipica narrazione «biforcata» (come quella dei Promessi Sposi, per intenderci, da un lato le vicende di Renzo e dall’altra quelle di Lucia, nella speranza di un ritrovamento finale) quella che dà forma a questo bel romanzo, per molto tempo in testa alle classifiche del «New York Times». Chi deve ricongiungersi, qui, sono due amici: un ragazzo, Peter, e una volpe, Pax. La loro è un’amicizia speciale, nata per entrambi dallo squarcio di un trauma: Peter ha perso da poco la madre in un incidente stradale, quando trova Pax, unico sopravvissuto della cucciolata di una volpe uccisa. Lo porta a casa, lo alleva con amore, ognuno torna a vivere grazie all’altro. Ma arriva la guerra, il padre di Peter si arruola e porta il ragazzo a vivere dal nonno: carica in macchina anche la volpe, costringendo il ragazzo ad abbandonarla lungo la strada. Da qui prende inizio la vicenda vera e propria, segnata dal dolore di Peter per questa nuova perdita, dal senso di colpa per aver tradito la fiducia dell’animale (il padre l’aveva costretto a lanciargli un soldatino – che costituiva il gioco di lancio e ripresa preferito da Pax – e poi fuggire, abbandonando Pax sul ciglio della strada), dall’angoscia per il destino della volpe domestica, forse incapace di sopravvivere in natura. Peter allora prende una decisione, la più forte e autonoma della sua vita: non sarà duro e insensibile come gli uomini della sua famiglia («le mele non cadono lontano dall’albero» afferma orgogliosamente il nonno, e invece lui da quell’albero vuole differenziarsi) e partirà alla ricerca di Pax, affrontando con coraggio un viaggio a piedi di cinquecento chilometri, a ritroso, per tornare nel punto in cui ha dovuto abbandonarlo, con la folle speranza di ritrovarlo.
La separazione dalle certezze della famiglia, il viaggio, l’avventura, rendono questo un perfetto romanzo di formazione, in cui il protagonista cresce e acquisisce maggior consapevolezza di sé attraverso molte prove, e anche grazie all’aiuto di un intenso personaggio femminile che gli farà da mentore, una donna che si è ritirata a vivere lontana dalla civiltà, in un bosco. In un capitolo seguiamo l’avventura di Peter, nell’altro quella di Pax, entrambe appassionanti, e sullo sfondo resta sempre, drammaticamente, la guerra, in tutta la sua atrocità. L’assurdità della guerra, di ogni guerra, emerge grazie alla maestria della scrittura della Pennypacker, che con rara eleganza evita la pesantezza di un messaggio pacifista compiaciuto e vago, e addirittura fa dire a Peter che lui non sapeva che «pax» in latino significasse «pace», aveva dato quel nome alla volpe solo perché lo zaino in cui il volpacchiotto appena portato a casa si era infilato aveva un’etichetta con la marca «Paxton». Una storia profonda, piena di spunti e simbologie pregnanti, come la fenice evocatrice di rinascita, il concetto «due ma non due» di matrice spirituale sull’unità delle creature, o la potente contrapposizione domestico-selvatico. È uscito un seguito, su cui torneremo, ma il romanzo ha un suo pieno senso anche di per sé.
Marta Bartolj, Via della gentilezza, Edizioni Terre Di Mezzo (Da 5 anni).
È l’opera prima dell’autrice slovena Marta Bartolj, che con questo silent book, in cui a raccontare sono esclusivamente le immagini, ha ricevuto vari riconoscimenti internazionali. Via della gentilezza, nel senso che si svolge nelle vie di una città, dove i personaggi compiono ciascuno un gesto gentile che riverbera, a cascata, sugli altri; ma forse anche nel senso che la gentilezza è la via. La via per stare al mondo e per contribuire nel proprio piccolo a renderlo un po’ migliore. Dare l’esempio, fare ogni giorno piccole scelte coraggiose, di cura e di attenzione, come i vari protagonisti della storia. Si comincia al mattino, mentre la città si sveglia: la prima in ordine di apparizione è una ragazza che ha perso il suo cane e affigge volantini per ritrovarlo. La sua tristezza non la rende però cieca agli altri e le fa compiere un gesto di gentilezza nei confronti di un passante, che a sua volta farà lo stesso con un’altra persona, e così via, la gentilezza si propaga come un’onda.
Di volta in volta qualcuno (sempre evidenziato da un particolare rosso, l’ombrello, gli occhiali, le scarpe, la mela…) si staglia dal contesto anonimo della città, si ribella all’indifferenza, e fa un gesto gentile. Non c’è bisogno di fare cose plateali, sono sempre piccoli gesti, come offrire riparo sotto l’ombrello, cedere il posto sul tram, fino a magari… ritrovare un cane.