Dove e quando

VALIE EXPORT – Die Fotografien, Fotomuseum Winterthur, Grüzenstrasse 44+45, fino al 29.5.2023. Ma-ve 11.00-18.00,me fino alle 20.00.

www.fotomuseum.ch


VALIE EXPORT: gesti liberatori contro il patriarcato

Gli scatti di Waltraud Lehner alla Fotostiftung di Winterthur rivelano e demistificano le strutture di potere
/ 01.05.2023
di Elio Schenini

Una serie di fotografie in bianco e nero che ritraggono scene di strada in un imprecisato contesto urbano. Dagli abiti dei passanti e dalle automobili che si intravvedono si intuisce che sono state scattate intorno alla metà degli anni Sessanta. Al centro di una di queste immagini si vede una donna con il busto ingabbiato in una scatola di polistirolo bianco chiusa sul davanti da un pezzo di tessuto e nascosta nella parte posteriore da un giacchetto di maglia. La donna fronteggia un uomo, il quale, continuando a tenere lo sguardo fisso sul suo volto ha infilato entrambe le mani nella scatola scostando il telo che la chiude frontalmente. Tutt’intorno a loro un folto gruppo di persone guarda la scena con stupore misto a curiosità e imbarazzo. Anche se non riusciamo a vederle, perché nascoste all’interno della scatola, possiamo immaginare che le mani di quell’uomo stiano palpando il seno nudo della donna. In un’altra serie di fotografie, una donna con un cappotto di pelo chiaro passeggia tra le strade affollate di un centro cittadino tenendo con estrema disinvoltura nella mano destra un guinzaglio alla cui estremità è legato un uomo abbigliato in maniera classica che la segue a breve distanza camminando carponi sull’asfalto. Anche in questo caso gli sguardi dei passanti si soffermano con curiosità e stupore sulla scena.

Quelle appena descritte, sono alcune delle fotografie che accolgono i visitatori nella prima sala della mostra che il Fotomuseum di Winterthur dedica all’opera fotografica di VALIE EXPORT, pseudonimo che fin dal 1967 Waltraud Lehner adotta, ispirandosi a una nota marca di sigarette austriache di quegli anni, per evitare di usare il cognome del padre o del marito e quindi per affermare attraverso questo semplice gesto il rifiuto di qualsiasi subordinazione ad una cultura patriarcale. Un uso della fotografia, quello dell’artista nata a Linz nel 1940, che nella fase iniziale della sua carriera ha soprattutto carattere documentario, visto che se ne avvale per tenere traccia di eventi per loro natura effimeri come le azioni e le performance nelle quali trasforma il proprio corpo in uno strumento di rivendicazione femminista. Del resto, la scena artistica austriaca aveva visto emergere fin dal 1962, nell’ambito dell’Azionismo viennese, numerose esperienze performative dal carattere pionieristico, che si erano sviluppate parallelamente, ma in maniera del tutto autonoma, rispetto alle sperimentazioni che portarono alla nascita degli happening negli Stati Uniti. Pur essendo spesso associata agli esponenti dell’Azionismo e pur condividendo con loro l’idea del corpo come luogo fisico e psichico in cui prende forma il condizionamento sociale, quelle di VALIE EXPORT sono però performance molto diverse dalle crude drammaturgie a cui danno vita in quegli stessi anni i suoi colleghi maschi, che si tratti delle colate sanguinolente dell’Orgien Mysterien Theater di Hermann Nitsch o dei gesti estremi di mortificazione fisica di Rudolf Schwarzkogler (tra gli «azionisti» quello con cui la EXPORT ha probabilmente maggiori affinità).

Anche nel caso della EXPORT assistiamo a una pratica performativa che tende ad accentuare gli elementi provocatori e dissacranti rispetto al conformismo che regnava nel contesto sociale del tempo, tuttavia, a differenza degli esponenti dell’Azionismo, il suo lavoro non sfocia in una pratica dai tratti fortemente esoterici in cui alla violenza viene attribuito un ruolo catartico fondamentale. Per VALIE EXPORT si tratta piuttosto di rivelare e demistificare le strutture di potere e i meccanismi sociali e culturali che sono alla base della subordinazione del femminile rispetto al maschile. In quest’ottica l’uso che la EXPORT fa della fotografia muta abbastanza presto. Da semplice strumento di documentazione, come nel caso delle azioni ricordate in precedenza, la fotografia si trasforma infatti rapidamente in un ambito autonomo di ricerca. Tra i primi esempi di questa nuova attitudine vi è la serie fotografica Aktionhose: Genital Panik. Se l’origine è anche questa volta una performance, durante la quale l’artista passeggiava tra il pubblico di un piccolo cinema indossando un paio di jeans che lei stessa aveva ritagliato nella zona genitale, le fotografie di questa serie (che sono diventate delle vere e proprie icone dell’arte femminista di quel periodo) non costituiscono tuttavia una documentazione dell’evento tenutosi nel 1969 in occasione di un festival teatrale d’avanguardia, ma sono una produzione realizzata alcuni mesi dopo, in cui l’artista si mette in scena di fronte all’obiettivo con gli stessi pantaloni usati durante la performance. In queste immagini, da cui sono poi stati tratti dei manifesti proposti nell’ambito di campagne di affissione pubbliche, l’artista mette in discussione gli stereotipi che caratterizzano la rappresentazione della femminilità, proponendocene una visione tutt’altro che remissiva: la donna che affronta a viso, anzi a gambe aperte (divaricate in un posa tipicamente maschile), lo sguardo voyeuristico maschile, diventa infatti una minacciosa e truce guerrigliera che si presenta con i capelli scarmigliati e armata di una mitragliatrice.

Alla fine degli anni Sessanta, mentre intorno al suo lavoro infuriano le polemiche e le accuse di oscenità e pornografia, VALIE EXPORT si muove sempre più in un’ottica multimediale, in cui alla fotografia si affianca anche il cinema, spesso operando in collaborazione con Peter Weibel (era lui l’uomo trascinato al guinzaglio), curatore e artista scomparso un mese fa che ai nuovi media ha dedicato tutta la vita, da ultimo dirigendo il ZKM (Zentrum für Kunst und Medien) di Karlsruhe. In questo periodo anche gli interessi della EXPORT si ampliano oltre la dimensione femminista, che pure rimarrà sempre presente. A partire dagli anni Settanta il suo lavoro è infatti caratterizzato da una fitta produzione fotografica che l’artista definisce non a caso Konzeptuelle Fotografie. Nella sua prassi artistica, in cui il corpo rimane l’elemento centrale, non si tratta infatti più solo di provocare e di dissacrare, ma si tratta ora di decostruire, di smontare pezzo per pezzo l’atto del guardare, di evidenziare le implicazioni nascoste nel nostro rapporto con le strutture architettoniche, con il paesaggio e con i modelli culturali che la storia dell’arte ci propone. Perché questa è in fondo l’arte per VALIE EXPORT: un gesto liberatorio che nasce dalla decostruzione dei modelli e delle strutture che il mondo ci impone.