Ute Lemper omaggia Marlene

A colloquio con una grande femme fatale della musica
/ 13.08.2018
di Enrico Parola

Angelo e femme fatale, voce candida prestata alle eroine Disney Ariel (ne La Sirenetta) ed Esmeralda (Il Gobbo di Notre Dame) e timbro torbido per gli intrighi di musical come Chicago, attrice (Prêt-à-Porter di Altman, L’ultima tempesta di Greenaway) e autrice lei stessa, Ute Lemper è da trent’anni protagonista della scena musicale mondiale: il 21 luglio 1990 era protagonista di The Wall – Live in Berlin in Potsdamer Platz per festeggiare il primo anno dalla caduta del Muro di Berlino, una delle sue città assieme a New York, Parigi e Buenos Aires. L’artista tedesca non si è limitata a festeggiare i 55 anni compiuti il 4 luglio, ma lavora anche su una telefonata di trent’anni fa a Parigi con Marlene Dietrich, sua musa e idolo: il risultato sarà un nuovo spettacolo che porterà in tutto il mondo il prossimo anno. 

Che cosa ricorda di quella telefonata?
Tutto, porto impressa ogni parola che Marlene mi confidò al telefono. Fu una chiacchierata lunga, più di tre ore, in cui mi aprì il suo cuore. Mi raccontò della gloria che aveva ottenuto con la sua carriera, ma anche dei dubbi che la assalivano nonostante fosse idolatrata; il suo profondo amore per le poesie di Rainer Maria Rilke e il dolore per la sua relazione interrotta con i tedeschi: ringraziava Dio per essere nata in Germania, ma odiava i nazisti, si era ripetutamente e categoricamente rifiutata di divenire uno dei volti pubblici del Nazismo nonostante le insistenti profferte di Hitler e Goebbels. Mi parlò anche della relazione con sua figlia Maria e il dolore per la difficoltà del rapporto con lei.

Che spettacolo sarà?
Si intitolerà Rendez-vous with Marlene, parlerò con la sua voce e racconterò la sua vita; lo sto ultimando e l’anno prossimo lo porterò in tutto il mondo: è il mio personale omaggio a questa grande donna.

In generale, al di là dell’omaggio a Dietrich, a che punto della sua carriera pensa di essere giunta?
Non mi sembra mai di aver raggiunto un punto o un traguardo, ma mi sento sempre nel mezzo; sono sempre curiosa e aperta a quel che può arrivare, ho il desiderio di creare qualcosa di nuovo, cerco continuamente nuove sfide. Ho così tanti spettacoli programmati in contemporanea… Le musiche che ho scritto per Neruda, Bukowski, Coelho, il mio concerto Songs for Eternity dedicato ai Ghetti ebraici e ancora altri. Continuo a cercare e creare, e sono davvero felice di poter portare la mia musica in tutto il mondo. 

Come è cambiata la sua voce in questi trent’anni?
È cresciuta, oggi ha tonalità molto più scure rispetto a dieci, vent’anni fa. È un timbro che mi sembra più autentico e mi fa sentire più a mio agio perché lo sento più adeguato alla mia anima; mentre mi esibisco mi sembra che la voce non sia un filtro che modifica ma un qualcosa di più sottile dove le vibrazioni della mia anima raggiungono il pubblico in modo più diretto e veritiero.

Lei sottolinea la sincerità e la verità della sua musica; ma da dove nasce questa musica, che cosa la ispira?
Da giovane molte mie scelte artistiche furono segnate da uno spirito di ribellione e di rabbia; mi sentivo inclinata alla disobbedienza e all’individualità: non per forza sono elementi positivi, ma nel mio caso credo che mi abbiano dato e mi diano tuttora il coraggio di difendere la mia completa libertà artistica. Altri «motori» della mia arte sono l’amore infinito che ho nel cuore per la vita e per i bambini, la mia indignazione per lo squilibrio e l’ingiustizia in questo mondo, la mia disperazione per la sofferenza di così tante persone intorno a noi… La vista di tanti fatti che non vorremmo vedere accadere mi dà la spinta per vivere ed esibirmi. 

Quindi per lei che caratteristiche deve avere una musica vera?
Deve riflettere la vita, deve saper dare un’espressione e direi anche una valutazione poetica della perdita, della solitudine, della nostalgia, della disperazione, della ribellione, dell’opposizione, della confusione e dell’amore. 

Alcuni di questi elementi sembrano riecheggiare nelle canzoni d’oggi, ma come in astratto, ridotti a giochi di parole: infatti è sempre più raro ascoltare canzoni che raccontano storie, che parlano di un’umanità all’opera: concorda?
Sì, purtroppo la musica sta diventando sempre più un elemento decorativo, una suppellettile o al massimo un buon mobilio; la musica classica non fa più parte della cultura commerciale e contemporanea e questo vale in generale per una musica «impegnata», di una tale qualità da richiedere concentrazione e determinazione per poter essere capita e apprezzata veramente. Oggi si è più frettolosi e superficiali, vedo ad esempio come i miei figli non abbiano la pazienza di ascoltare ciò che trovo bello. Naturalmente ci sono delle eccezioni, ma la situazione generale non è rosea.

Lei ha sempre guardato a grandi autori: Brel e Trenet.
Brel era molto più ribelle di quanto lo fosse Trenet. Trenet offre meravigliose melodie, Brel offre la disperazione.

Piazzolla e Brecht.
Entrambi uniscono teatro e poesia, anche se ognuno a proprio modo, visto che Piazzolla è un compositore e Brecht è uno scrittore. Sarebbe stato interessante l’incontro fra i due personaggi e vedere le parole di Brecht sulla musica di Piazzolla. Brecht è sempre stato affascinato dal tango e lo ha usato in molti dei suoi pezzi, scritti in questo caso da Kurt Weill.

Il tango appunto.
Il tango è una grande espressione della società decadente, della cultura notturna, della seduzione e anche dell’opposizione. Per questo mi piace dire che la Repubblica di Weimar ha in sé molto tango, lo stesso ritmo e lo stesso spirito che Piazzolla esprime nei suoi Tanghi quando evoca le notti di Buenos Aires. Mi colpisce molto constatare come a Berlino e Buenos Aires la musica evochi le stesse scene: ad esempio gli emarginati e le donne trascurate che trascorrono l’intera notte nei bar alla disperata ricerca di soddisfazione e di un luogo dove trascorrere il tempo dal tramonto all’alba, per fuggire dalla luce del giorno e dalla realtà.