Uomo e ambiente: le rivincite della natura

Anche nel mondo antico, seppur in modo in parte diverso da oggi, ci si chinava su questioni legate al territorio e alla natura
/ 08.03.2021
di Elio Marinoni

Naturam expelles furca, tamen usque recurret et mala perrumpet furtim fastidia victrix

«Scaccia pure la natura con la forca, tuttavia tornerà sempre e, vincitrice furtiva, si aprirà un varco tra gli stolti disdegni»

(Orazio, Epistole, I, 10, vv. 24-25)

Nell’uso corrente di questi due versi oraziani, la massima indicherebbe che non si può soffocare l’indole naturale (cfr. p. es. Enciclopedia Treccani on line). Tuttavia i due versi si collocano nell’ambito di una discussione sulla tematica, cara agli autori augustei e in particolare a Orazio, relativa all’antinomia tra vita di campagna e vita di città. Orazio, che assegna il primato alla prima in quanto considerata secondo natura, osserva, nei versi precedenti dell’epistola, che essa si fa strada, con giardini e boschetti, anche fra le colonne marmoree e i mosaici dei lussuosi palazzi urbani (vv. 19-23). Il tema è dunque piuttosto quello del rapporto tra l’uomo e la natura, l’uomo e l’ambiente.

A questo proposito va ricordato che la cultura classica è caratterizzata in linea di massima da una concezione antropocentrica dell’universo (particolarmente esplicitata nelle opere di Aristotele), che considera i diversi esseri viventi o elementi del mondo che ci circonda al servizio dell’uomo in quanto a lui inferiori, giustificando quindi in ogni caso l’uso strumentale dell’ambiente. Esistono tuttavia, nella letteratura antica, se non tracce di una vera e propria coscienza ecologica, voci dissonanti dall’antropocentrismo dominante, che invitano a riflettere sulla forza e sulle leggi della natura e a limitare l’intervento umano su di essa.

È il caso, oltre che dei versi di Orazio citati in epigrafe, della denuncia, da parte di Sallustio, della dissennata smania edificatrice dei ricchi romani degli ultimi tempi della repubblica, pronti a interventi massicci sull’ambiente (lo storico parla iperbolicamente di «spianare monti e costruire sui mari») pur di erigersi ville lussuose in posizioni dominanti, «costruite in modo tale da parere città», che egli contrappone alla semplicità degli antichi templi (Sallustio, La congiura di Catilina, 13, 1 e 12, 3). Sallustio stigmatizza il «lusso distruttivo delle classi superiori» come sintomo della decadenza dei tempi (cfr. Lukas Thommen, L’ambiente nel mondo antico, Il Mulino, Bologna 2014, pp. 77 e 132). Il pensiero del lettore moderno corre agli scempi edilizi perpetrati in particolare in varie località dell’Italia meridionale e al conseguente dissesto idrogeologico.

La pianificazione di interventi anche radicali sull’ambiente per motivi di interesse pubblico è poi una costante nel mondo antico: si va dalla deviazione del corso del fiume Halys, su consiglio di Talete, per facilitare la marcia dell’esercito di Creso durante la guerra tra la Lidia e la Persia intorno alla metà del VI sec. a.C. (Erodoto, Storie, I, 75, 3-6) alla discussione, avvenuta nel senato romano ai tempi dell’imperatore Tiberio (14-37 d.C.), sulla proposta, da parte di un’apposita commissione, di deviare il corso di alcuni fiumi e laghi del sistema idrografico compreso tra l’Arno e il Tevere allo scopo di porre un freno alle esondazioni di quest’ultimo.

Dopo la relazione introduttiva di Arrunzio e Ateio, capi della commissione, si aprì un dibattito al quale parteciparono sia singoli senatori, sia le delegazioni dei centri urbani interessati. Alla fine del dibattito, la proposta fu bocciata. Tra le diverse considerazioni addotte ci fu anche quella che «la natura aveva provveduto nel migliore dei modi alle faccende umane, essa che aveva dato ai fiumi le loro foci, i loro corsi e, come una sorgente, così uno sbocco» (Tacito, Annali, I, 79). Dal disincantato resoconto tacitiano si evince tuttavia che sulla decisione finale di «non cambiare nulla» pesarono soprattutto i contrastanti interessi delle diverse municipalità interessate (ibidem). Anche a quei tempi, le iniziative del potere centrale si trovavano talora a confliggere con i poteri locali.