Heu vatum ignarae mentes / «O menti ignare degli indovini» (Virgilio, Eneide IV, 65).
Con quest’esclamazione – a cui fa seguito la duplice interrogativa «A che giovano all’insana i voti, a che i templi?» (ibid., 65-66) – Virgilio esprime la propria partecipazione all’azione descritta nei versi precedenti (ibid., 56 ss.). Si tratta delle offerte rituali con cui Didone, innamorata di Enea da poco giunto alla sua reggia, chiede agli dei di propiziare la sua passione; e in particolare dell’esame delle viscere delle vittime sacrificali, condotto dagli aruspici allo scopo di conoscere la volontà degli dei (ibid., 63-64).
La sfiducia nei confronti dell’affidabilità dei profeti ha alle spalle una lunga tradizione, dalla figura di Cassandra, veritiera ma non creduta annunciatrice di sventure, a quella del veggente cieco Tiresia. Con riferimento a quest’ultimo, il re di Tebe Creonte afferma sprezzante che «tutta la razza degli indovini ama il denaro» (Sofocle, Antigone, 1055) e in un’altra tragedia Giocasta sostiene che «non c’è essere mortale che conosca l’arte divinatoria» (Sofocle, Edipo re, 708-709).
Dall’esclamazione di Virgilio trasuda tutto lo scetticismo del poeta, imbevuto di filosofia epicurea, nei confronti delle pratiche divinatorie e più in generale religiose. Del resto Cicerone, che certo epicureo non era, ricorda che Catone «diceva di meravigliarsi che un aruspice non scoppiasse a ridere vedendone un altro» e commenta: «Quanti avvenimenti predetti da costoro si sono verificati? O, se qualcosa si verifica, come si può dimostrare che non sia avvenuto per caso?» (Cicerone, Sull’arte profetica, II, 51-52). In quel trattato Cicerone sostiene, con una buona dose di cinismo, che le pratiche divinatorie, pur non avendo fondamento scientifico, vanno mantenute in vigore per la loro utilità sociale: diffondendo il timore degli dei contribuiscono infatti a tenere le masse sotto controllo. La religione, insomma, se non come «oppio dei popoli», certo come instrumentum regni.
Al quesito posto da Cicerone («quanti avvenimenti predetti da costoro si sono verificati?») si può oggi tentare di dare una risposta con le armi della statistica, e alla diffusa credulità nei confronti di presunti maghi, medium, chiromanti, che oggi si possono avvalere di tv e internet, cerca di opporsi perfino un apposito «Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale», dotato di un sito internet (www.cicap.org) e di una rivista («Scienza & Paranormale»). Ma il pubblico raggiunto da questo periodico, come ha osservato sconsolatamente Umberto Eco (Come arricchirsi sul dolore altrui, in Pape Satàn Aleppe, La Nave di Teseo, Milano 2016, pp. 228-230) è certamente assai più ridotto dei milioni di persone «catturati» dai fattucchieri dell’etere. Anche perché chi si trova in una situazione di grave crisi è portato ad aggrapparsi all’irrazionale come unica possibilità di salvezza. Né si tratta esclusivamente di persone di poca preparazione culturale: la disperazione induce talvolta anche individui di solida formazione a riporre qualche speranza nell’irrazionale. Non è perciò inverosimile la trovata dello scrittore Marco Vichi nel romanzo Morte a Firenze (Guanda, Parma 2009): di fronte a un’indagine sull’uccisione di un ragazzino il commissario Bordelli cede per un istante alla tentazione di affidarsi a una cartomante.