Un’«Opera della notte» per La Via Lattea

Lo scorso sabato all’Auditorio l’opera di Pagliarani su testi di Scabia
/ 12.11.2018
di Zeno Gabaglio

«Quando il blackout è iniziato, lì per lì ho provato paura. Eppure appena la musica è cominciata la paura è svanita. Questo capolavoro contemporaneo trasforma la sala da concerto in un luogo di misteriosi brividi, suggerendo che la via della verità passa attraverso il buio». È con queste parole che Alex Ross – il celebre critico americano, da molti ritenuto la più autorevole voce della musica del nuovo millennio – ha voluto descrivere il Quartetto n. 3 di Georg Friedrich Haas.

Una descrizione che mette in primo piano il fattore esperienziale dello spettatore, quello che ci succede dentro una volta messi in condizioni d’ascolto particolari. E dove mai – nella Svizzera italiana – si può sperare d’incontrare una proposta musicale che sia innanzitutto esperienza? Un luogo in cui l’etico – in senso ampio, se non addirittura etimologico – vada a braccetto con l’estetico?

Da quindici anni ormai la risposta è una sola: La Via Lattea. Non è una rassegna, non è un festival, non sono concerti, non sono passeggiate (anche se spesso il pubblico cammina per diverso tempo): si potrebbe dire che l’invenzione di Mario Pagliarani è un concetto realizzato, che a sua volta – di anno in anno – avvicina altri concetti per affrontare percorsi paralleli e interdisciplinari in cui la musica fa da stimolo ma anche da accompagnatrice alle esperienze: dialettiche, sorprendenti e immancabilmente sempre forti.

Il tema prescelto per il 2018 è stato «Notte e sogni», declinato in tre Movimenti, un Intermezzo al buio e un Finale. Il Quartetto n. 3 di Haas era stato proposto – nella convincentissima interpretazione del giovane Quartetto Maurice – lo scorso 30 settembre nei sotterranei dell’Accademia di architettura di Mendrisio. E nell’oscurità quasi totale il pubblico ha vissuto un’intensa ora di «scricchiolii e rumori, sciami di pizzicato, scatti acuti acuti, gemiti di glissando» attraversando una «bellezza ultraterrena» di quel romanticismo «esoterico che dimora sulla maestà e il terrore del sublime» (le parole sono sempre quelle di Alex Ross).

Il gran finale – è proprio il caso di dirlo – de La Via Lattea 2018 (anche quest’anno sostenuta dal Percento culturale di Migros Ticino) è però andato in scena lo scorso sabato 10 novembre presso l’Auditorio Stelio Molo della RSI a Lugano, con quell’Opera della notte scritta dallo stesso Mario Pagliarani su testi di Giuliano Scabia (che già li aveva letti «en plein air» fra il 23 e il 26 agosto scorsi lungo il cammino notturno tra Como e Lugano) adattata in una nuova versione da camera. Il corpo del poeta è però scomparso, in questa performance, lasciando spazio unicamente alla propria voce registrata: un sentiero narrativo per tre strumenti (il flauto di Manuel Zurria, il violoncello di Francesco Dillon e il pianoforte di Emanuele Torquati) incamminati in una progressiva sostituzione tra reale e fantastico.

Lo spunto della narrazione (rintracciabile anche nel libro omonimo pubblicato da Scabia per Einaudi nel 2003) è stato quello di un viaggio a piedi attraverso i monti dell’Appennino, un peregrinare reale che però si fa visionario nell’attraversamento delle «regioni oscure dell’essere». E per evocare questo spirito – nume tutelare dell’esperienza – nessuna parola è certo migliore di quelle di Scabia scelte anche come motto dell’intera Via Lattea 2018:

«Ehi, notte, dove vai?
Dove porti noi
e le galline, i bruchi, le poiane, i grilli
e tutto ciò che sai?
O bestie della notte – chi siete?
E voi, piante?
E voi stelle? E tu, notte, tu chi sei?»