Per l’Orchestra della Svizzera Italiana il 2019 si apre nel segno della Viola. Un pianeta strano nel firmamento concertistico classico, riscoperto solo negli ultimi decenni; ad illuminarlo è stato l’astro di Yuri Bashmet, virtuoso russo che sarà protagonista del primo dei quattro concerti che la Osi terrà in gennaio nella sua sede storica, l’Auditorio Stelio Molo. Ognuno con un diverso strumento protagonista, e a parte l’ultimo che vedrà sul podio Markus Poschner e al pianoforte Andrea Bacchetti, sempre con l’interprete impegnato nella doppia veste di solista e direttore. Dopo Bashmet toccherà infatti al clarinettista Jörg Widmann, già applaudito anche come compositore a Lugano Musica, e al violinista Sergej Krylov, che alla Scala di Milano ha inaugurato l’ultima edizione del festival Mito. Ma il 10 la ribalta sarà tutta per il musicista nato a Rostov sul Don e prossimo ai 66 anni (li compirà il 24): incastonerà tra Metamorphosen, uno «studio» di Richard Strauss ispirato al racconto di Kafka, e la spumeggiante prima sinfonia Classica di Prokof’ev, due brani ad alta gradazione romantica, la Romanza per viola e il Concerto per clarinetto, viola e orchestra di Bruch.
A differenza di quanto poteva capitare tra i violoncellisti, dove Rostropovich spiccava in un’agguerrita concorrenza, tra violinisti e pianisti, dove gli Stern e gli Oistrakh tra gli archetti o i Michelangeli e gli Horowitz per gli 88 tasti rientravano in un elenco non certo breve di grandissimi interpreti, per decenni la viola è stata identificata solo ed esclusivamente con Bashmet: una simbiosi che ha riportato in auge lo strumento e ha creato il mito del virtuoso russo. «Il mio recital al Conservatorio di Mosca è stato il primo recital per viola nella storia della Russia, e lo stesso è accaduto a Parigi, alla Scala, a Tokyo e al Concertgebouw di Amsterdam, a Helsinki, Copenhagen e in vari alti Paesi… Ma non mi attribuisco chissà quali meriti, penso sinceramente di essere stato solo l’uomo giusto nel momento giusto nel posto giusto». Di certo ha avuto il merito di ampliare il repertorio della viola, spingendo o ispirando tanti autori contemporanei che gli hanno dedicato concerti e sonate; arrivando addirittura ad argomentare una supremazia quasi ontologica. «La viola è lo strumento ad arco più carico di mistero, fascino e storia. A lungo è stata considerata lo strumento di mezzo tra violino e violoncello, ma dal punto di vista storico è il contrario: la viola è più antica e sono piuttosto il violino e io violoncello a orbitare attorno alla viola, il primo in un registro più acuto e il secondo in uno più grave. La viola può ascendere alle note più acute, ma creando suoni più tesi e profondi, e allo stesso modo può raggiungere quelle più gravi, che sono meno ampie ma sicuramente più potenti di quelle realizzate sul violoncello».
Non è però solo un fatto di estensione: per Bashmet la magia della viola sta nella sua stessa voce, «nel suo timbro, unico, misterioso, potrei dire diabolico, perché può essere lirico e drammatico come gli altri strumenti, ma solo quello della viola sa essere di una bellezza pericolosa: solo la viola riesce a dire cose tragiche con umorismo, e chi la ascolta non può dire “è solo tragico”, “è solo lirico”, ma vi percepisce contemporaneamente divrse sensazioni; un po’ come la musica di Schubert, che piange e sorride nello stesso momento». Ribadendo il concetto ma variando i termini, Bashmet prova a sganciare il «rinascimento» della viola di questi ultimi decenni dai suoi personali meriti: «Mi piace definire il suono della viola “filosofico”. Non è solo lirico o tragico, ma anche freddo, filosofico, e non perché sia l’esecutore a ottenerlo: sono qualità insite nel timbro stesso dello strumento. E penso che in un mondo percepito da tanti come più problematico, dove tutto corre troppo veloce e caotico, come mosso da una irresistibile forza centripeta, un suono “filosofico” possa essere un rifugio per tanti compositori e ascoltatori».