Coprifuton con motivo di coppia di aragoste, periodo tardo Meiji-inizio Shoˉwa (1900-39).(©Yuki Seli 2019, Courtesy Jeffrey Montgomery Collection)

Dove e quando
Giappone. L’arte nel quotidiano. Manufatti mingei dalla collezione Jeffrey Montgomery, Ligornetto, Museo Vela. Fino all’8 marzo 2020. Orari: ma-sa 10.00-17.00;  do 10.00-18.00; lu chiuso. www.museo-vela.ch


Un’arte per tutti

Un Giappone poco conosciuto in mostra al Museo Vela di Ligornetto
/ 20.01.2020
di Marco Horat

Gli oltre duecento oggetti provenienti dal Giappone antico e moderno attualmente esposti al Museo Vela di Ligornetto, fanno parte della collezione privata di Jeffrey Montgomery, americano-luganese di adozione, raccolti qua e là nel mondo durante tutta una vita: oltre mille reperti, che coprono un ampio arco cronologico, di quella che viene chiamata mingei, arte popolare potremmo dire o artigianato di qualità, in contrapposizione a kogei, cioè arte aristocratica, per usare categorie nostre.

Una separazione di genere molto sfumata e problematica (come classificare ad esempio le famose stampe giapponesi?) con la quale si è dovuta confrontare anche la cultura occidentale quando ha incontrato altre culture; è avvenuto nel panorama europeo con l’irruzione delle maschere africane o dell’oriente portate da artisti famosi quali Picasso, Braque, Brignoni.

Mingei in Giappone ha una lunga tradizione, anche se il termine fu coniato solo negli anni 20 del secolo scorso in ambito intellettuale. Un periodo importante per la storia del Paese uscito da pochi decenni da un isolamento durato secoli e alle prese con uno scontro epocale fra tradizione e rinnovamento; la letteratura riflette questo conflitto culturale, continuato nel successivo dopoguerra e forse non ancora del tutto risolto nemmeno oggi. Alla crisi economica, alla spinta espansionistica del capitalismo nipponico, ai conflitti sociali e agli scontri politici tra destra e sinistra, si era aggiunto nel 1923 il terremoto che aveva colpito la regione del Kanto, distruggendo la capitale Tokyo e facendo oltre 100’000 morti. Un momento difficile nel quale, affermano gli storici, trovò terreno fertile quel nazionalismo che doveva poi sfociare nel disastro della Seconda guerra mondiale.

Le tradizioni popolari andavano perciò valorizzate per affermare una forte identità nazionale. E qui entrano in scena le migliaia di artigiani-artisti quasi sempre anonimi che nel corso dei secoli avevano prodotto oggetti della quotidianità, frutto di una vitalità creativa e di un sapere tradizionale che rischiavano di andare perduti di fronte all’industrializzazione e alla produzione in serie: tessuti, sculture in legno e statuette di divinità, vasellame, ceramica, lacche, mobilia e suppellettili, maschere, dipinti e oggetti di uso comune in metallo o bambù.

Un patrimonio che non solo colpisce per la varietà dei materiali e l’eleganza delle forme, ma oggetti che trasmettono emozioni perché sprigionano una grande forza spirituale che viene loro dalle storie che raccontano, da chi li ha creati e da chi li ha manipolati o visti nel tempo. 

«Li ho sempre scelti con il cuore e con la pancia, mai con la testa», dice il collezionista. Sono creazioni che, nel contesto della politica messa in campo da anni dal Museo Vela diretto da Gianna Mina, vengono presentate per la loro valenza estetica, per la forza che sprigionano e l’immediatezza con la quale colpiscono il visitatore; e non quali testimonianze etnografiche che andrebbero altrimenti contestualizzate, così come accade spesso per altre istituzioni svizzere; penso alle Collezioni Baur o al Barbier-Mueller di Ginevra. Arte minore direbbe qualcuno, se paragonata alle espressioni artistiche elevate che siamo soliti ammirare nelle mostre che da anni vengono regolarmente dedicate al Giappone in tutto il mondo.

La discussione è aperta, ma intanto ecco la possibilità di andare alla scoperta di un terreno affascinante quanto ricco di sorprese del quale vi era stato un primo assaggio in Ticino, con una scelta differente di oggetti della stessa collezione Montgomery, alla Galleria Gottardo, nel lontano 1990.