Se è vero, come si diceva un tempo, che «muore giovane chi è caro agli dei», allora si può tranquillamente affermare che vi siano pochi casi, nel campo della letteratura mondiale, struggenti quanto quello del drammaturgo tedesco Georg Büchner – il quale, appena ventitreenne, trovò la morte proprio in territorio svizzero, a Zurigo per la precisione, dove si era distinto quale docente più giovane dell’intera università cittadina.
Come sia avvenuto che un brillante accademico, peraltro dedito a discipline non propriamente umanistiche, abbia finito per divenire uno dei più importanti commediografi ottocenteschi, è uno dei maggiori quesiti nella storia personale di Büchner: per quanto nella sua breve vita abbia completato soltanto tre commedie, la modernità e rilevanza del suo lavoro – ancor oggi incredibilmente attuale, nelle tematiche come nel linguaggio – ha fatto sì che, nell’arco del Ventesimo e Ventunesimo secolo, i suoi drammi siano stati rivisitati in innumerevoli versioni non solo teatrali, ma anche cinematografiche e perfino musicali (un esempio su tutti, l’avanguardistica opera atonale Wozzek del compositore Alban Berg, del 1925).
Forse parte del segreto di tale attualità è da ricercarsi nell’innata irrequietezza del giovane Georg, il quale non tardò a mettersi nei guai con le autorità, attratto com’era dagli ideali giacobini e dai fermenti popolari dell’800 europeo – nonché dall’idea che l’aristocrazia, ormai obsoleta, dovesse lasciare il posto all’autodeterminazione del popolo: un tema che avrebbe fatto da fil rouge della sua produzione artistica, affondando le radici nel background culturale dell’autore. Nato nel 1813 a Goddelau, cittadina della Germania meridionale all’epoca facente parte del Ducato d’Assia-Darmstadt, Büchner proveniva infatti da una famiglia dalla forte impronta intellettuale, in cui scienza e umanesimo si univano abitualmente tra loro (il fratello Ludwig, medico, si sarebbe distinto come influente filosofo).
Anche Georg venne avviato agli studi in medicina dal padre (ex medico militare, chimico e inventore), e si formò nelle università di Strasburgo e Giessen; tuttavia, finì presto per subire il fascino dei nascenti moti repubblicani dell’epoca, soprattutto grazie agli effetti dell’insurrezione parigina del luglio 1830. Tale interesse lo portò a partecipare ai locali disordini popolari del maggio 1832 e a fondare una società segreta, la Gesellschaft für Menschenrechte («Società per i diritti umani»), dedita all’ideale di rivoluzione popolare – nonché, infine, a pubblicare un incendiario pamphlet dalle chiare simpatie proletarie, l’Hessischer Landbote (1834). Ma non era solo la politica a infiammare l’animo inquieto del giovane Büchner: nel 1835 egli avrebbe infatti completato la più apprezzata delle sue opere teatrali, Dantons Tod («La morte di Danton»), che, prendendo spunto dalla sorte di uno dei martiri della Rivoluzione Francese, offriva un’aspra riflessione sui pericoli del potere assoluto e della giustizia sommaria.
Nel frattempo, le passioni politiche di Georg finirono per costringere il brillante studente a una fortunosa fuga: le poco velate incitazioni alla ribellione contenute nell’Hessischer Landbote (su tutte, lo slogan «pace alle capanne, guerra ai palazzi!») portarono le autorità ad accusare di tradimento i responsabili di un simile affronto allo status quo, e tra i vari dissidenti subito arrestati vi fu anche il pastore protestante Friedrich Ludwig Weidig, coautore del pamphlet, imprigionato e sottoposto a torture d’ogni tipo. Büchner, ricercato dalla polizia, riuscì a passare la frontiera francese e a riparare a Strasburgo; qui completò il suo dottorato in medicina, pubblicando una rivoluzionaria dissertazione medica che, a poco più di vent’anni, gli valse una cattedra come professore di anatomia e storia naturale presso l’università di Zurigo.
Nell’ottobre del 1836, Georg si ritrovò così in Svizzera – dove, come molti altri dissidenti e rifugiati politici prima e dopo di lui, avrebbe trovato un accogliente rifugio. A Zurigo si stabilì al nr. 12 della Spiegelgasse (poco lontano dalla casa in cui Lenin avrebbe in seguito trascorso il proprio esilio), e qui intraprese la stesura della sua opera oggi più nota: la tragedia Woyzeck, che, ispirandosi a un fatto di cronaca, riproponeva il tema del dramma dell’uomo comune – in questo caso un soldato semplice, portato alla follia dal cinico sfruttamento a cui la società lo sottopone.
Purtroppo, Woyzeck era destinato a rimanere incompiuto; come per un crudele scherzo del destino, quella morte prematura a cui Büchner era scampato per un soffio con la fuga oltreconfine lo avrebbe raggiunto sotto le spoglie di una banale quanto letale malattia – un attacco di tifo, che se lo portò via il 19 febbraio del 1837; in quello stesso anno, si spegneva in prigione (in circostanze mai del tutto chiarite) anche il suo compagno di cospirazioni, Friedrich Ludwig Weidig. Con la morte di Georg sarebbero andati perduti per sempre i lavori ancora in corso di redazione, tra cui un’opera teatrale su Pietro Aretino; fortunatamente, sono giunti fino a noi la commedia satirica Leonce und Lena e un frammento del romanzo breve Lenz, ispirato alla vita tormentata del poeta Jacob Lenz.
Oggi considerato un geniale precursore dell’espressionismo tedesco, Büchner ha conosciuto una notevole riscoperta critica nell’arco del ventesimo secolo (basti citare, tra gli altri, l’adattamento cinematografico del Woyzeck realizzato da Werner Herzog nel 1979); e sono in molti a ritenere che, se solo la sua vita non si fosse interrotta tanto presto, egli godrebbe ora della stessa considerazione riservata a colleghi quali Schiller e Goethe. Tuttavia, la sua tomba-memoriale, collocata sulla Germaniahügel, a Zurigo-Oberstrass, rimane duraturo simbolo dell’effimera e impermanente natura della vita umana, a cui nessuno può sottrarsi – ma dalla quale il vero genio può sempre e comunque emergere per rivelarsi a noi come entità, nonostante tutto, immortale.
Una vita breve e intensa
Ritratti - Georg Büchner, uno dei maggiori autori della letteratura tedesca, è stato esule in Svizzera durante i tumulti repubblicani europei dell’Ottocento
/ 22.02.2021
di Benedicta Froelich
di Benedicta Froelich