Un fortino sperduto nelle steppe desertiche della Siria, antiche strade romane ricoperte dalla sabbia del deserto, un galoppo di truppe mehariste montate su dromedari, le vestigia di un porto oramai scomparso sotto le acque del Mediterraneo, gli imponenti resti archeologici di Palmira, tutti visti e ripresi dall’alto con suggestive immagini in bianco e nero. Capita che un dilettante (il termine francese amateur rende meglio l’idea) lasci un segno indelebile nella storia.
È il caso di Antoine Poidebard, nato a Lione nel 1878, missionario gesuita schierato al fianco degli armeni perseguitati dall’Impero ottomano al declino, ma soprattutto scrittore, esploratore, geografo, etnografo e archeologo per passione; l’inventore, si può ben dire, della fotografia aerea applicata alla documentazione scientifica. Stabilitosi a Beirut nel 1925 e incaricato dalle autorità francesi – che su mandato della Società delle Nazioni governavano le terre del Medio Oriente – di indagare gli aspetti storici di una regione così ricca di testimonianze, percorse le vie del cielo dai deserti della Siria, al Libano fino all’Algeria e alla Tunisia, sviluppando nel contempo le apparecchiature adatte al nuovo metodo di indagine che si andava affermando dopo la fine della Prima guerra mondiale.
Di quella straordinaria avventura vissuta grazie a migliaia di ore di volo, alle missioni di scavo sul terreno alle quali Poidebard partecipò per molti anni e perfino alle sue immersioni subacquee accanto a Cousteau, sono rimaste innumerevoli lastre fotografiche di grande qualità tecnica e documentaristica, raccolte nel Museo orientale di Beirut che ora ne ha prestate una sessantina al Laténium di Hauterive presso Neuchâtel, per la realizzazione di un’esposizione di grande interesse archeologico curata da Marc-Antoine Kaeser.
Dato che Padre Poidebard non era uno sprovveduto, della sua opera di ricerca ci sono fortunatamente rimaste anche immagini prese con i piedi ben piantati per terra, ad illustrare la vita quotidiana in quei paesi, sia degli indigeni sia dei colonialisti al lavoro... lui compreso. Lo vediamo infatti all’opera in alcune immagini che ci riportano al clima di quegli anni: sotto una tenda, davanti a una vettura di altri tempi con tanto di caschetto coloniale e bastone, mentre consulta una carta geografica o si appresta a decollare su un aereo dell’aviazione francese armato di un grande apparecchio fotografico. Molti i ritratti di notabili impettiti a cavallo e di militari con sciabola al fianco, ma anche di gente comune, bambini, giovani e donne, di paesaggi esotici e di angoli di località forse oggi difficilmente riconoscibili visto quanto sta succedendo in questa regione martoriata dalla guerra e dai bombardamenti. Scene di una vita che sembra scorrere tranquilla, in netto contrasto con quelle drammatiche che dalla Siria ci arrivano invece quotidianamente.
Le immagini più impressionanti e scientificamente rilevanti mi pare siano però quelle di sapore archeologico, riprese dall’alto con risultati eccellenti anche dal punto di vista della qualità; non a caso il titolo della mostra parla di archivi di sabbia. Oggi scontate dal momento che la prospezione aerea per la ricerca delle tracce antiche sul terreno è diventata prassi normale soprattutto con l’affermarsi dei palloni aerostatici e recentemente dei droni, nonché degli apparecchi ottici: quello che si scorge dall’alto infatti risulta spesso invisibile a terra, come ad esempio le strutture murarie sepolte sotto metri di humus e vegetazione. Non così ai tempi di Padre Poidebard. Immagini nitide accompagnate da informazioni dettagliate. «Khan El-Hallabat, sud-ovest di Palmira: fortino romano di Beriaraca (circa III secolo) con punto di vista verticale, da un’altitudine di 1450 metri, il 23 ottobre 1930, ore 8.45 del mattino». Colpisce il capitolo su Palmira, purtroppo ferita dagli scempi dell’Isis e dai bombardamenti, con una serie di immagini che ci trasmettono invece un sentimento di grande serenità, dandoci la sensazione che il tempo continuerà a scorrere in eterno su quelle rovine senza offenderle.
Forse è l’occasione per riflettere sulla presenza straniera nella regione, che ha dato anche buoni frutti quali l’opera di Padre Poidebard, ma che d’altra parte non si può ritenere del tutto estranea ai successivi disastri. La mostra vuole anche toccare questo tasto delicato della nostra storia recente.
Dove e quando
Archives des sables. Hauterive: Laténium Parc et Musée d’archéologie. Fino all’8 gennaio 2017