Mozart. Mozart. Mozart. Il nome trino e divino del compositore Unico è stato protagonista qualche tempo fa di tre serate consecutive al Teatro Alighieri di Ravenna (Ravenna Festival), dove giungeva la produzione proveniente dal teatro della reggia svedese di Drottingholm in coproduzione con il Castello di Versailles, ripresa dai teatri di Bordeaux, Barcellona, Versailles, Ravenna, Rimini e Salerno. Tre serate che hanno messo in scena i capolavori composti su libretti, non meno sublimi della musica, dovuti a Lorenzo Da Ponte: Le nozze di Figaro (1786), Don Giovanni (1787) e Così fan tutte (1790).
A distanza di tempo vale la pena soffermarsi sull’operazione perché allestire tre opere così impegnative come se si trattasse di un Trittico è un titolo di merito per qualunque istituzione operistica. Ad affascinare è stata in particolare la messa in scena: stimolava una riflessione a partire da una visione nuova che dava unità alle tre opere differenti. Spesso accusiamo i registi di stravolgere, strapazzare, vilipendere i testi trattati, e anche nel mondo mozartiano, se ne vedono di tutti i colori. Questa volta, «Cosa rara», no. Perché il regista francese Ivan Alexandre, coadiuvato da scene e costumi di Antoine Fontane (vale ricordarlo è restauratore di sipari e sale antiche, decoratore di Vatel di Roland Joffé e J’accuse di Polanski e scenografo della Reine Margot di Chéreau), ha mosso tutti i personaggi intorno ad un’idea che collegava la libertà di spirito (il libertinismo) alle tre età dell’uomo. L’impianto scenico era costruito sullo stesso quadrilatero per tutte le opere, il quale al solo muovere di tende e velari rivelava stanze e luoghi dell’azione; mentre ai lati c’erano sedie e specchi dei camerini, elementi di un raffinato gioco metateatrale, in cui i cantanti si truccavano o parlavano prima e durante lo spettacolo.
Sul palcoscenico era come se lo stesso personaggio passasse da una stanza all’altra della trilogia: un adolescente libertino che si chiama Cherubino attraversava la tempesta ormonale nelle Nozze di Figaro; diventava lo sciupafemmine per antonomasia, il libertino adulto don Giovanni, per finire attempato filosofo, Don Alfonso, cui non rimane che ordire l’intrigo amoroso, cercando di testare in Così fan tutte, se la fedeltà delle donne esiste. Quasi fosse un canuto Giacomo Casanova fra le «bestie boeme» del castello di Dux (nel ricordo della presenza di Casanova accanto a Mozart alla prima praghese del Don Giovanni). Opera che non è affatto misogina come potrebbe autorizzare una lettura superficiale, perché Da Ponte e Mozart mettono in bocca al deus-ex-machina Don Alfonso, un meraviglioso recitativo accompagnato dagli archi che riassume lo spirito di libertà del loro pensiero: «Tutti accusan le donne, ed io le scuso / se mille volte al dì cangiano amore; / altri un vizio lo chiama, ed altri un uso, / ed a me par necessità del core».
Questa trilogia ha reso possibile la lettura dei tre capolavori Mozart e Da Ponte come si trattasse di una commedia umana, dove tutte le età dell’uomo sono rappresentate. Ma anche le età delle donne, come testimonia il fatto che una cantante può passare nel corso della trilogia tutte le stagioni della voce: dall’innocente Barbarina alla scaltra domestica Susanna, dalle volubili dame ferraresi Fiordiligi e Dorabella alla Contessa tradita (l’antica Rosina del Barbiere di Siviglia), fino alla vecchia brillante Marcellina. Questo era anche l’intento del drammaturgo da cui provengono Le Nozze di Figaro, Pierre-Auguste Caron de Beaumarchais, che dopo aver fatto sorridere sulle pene amorose del giovane Conte di Almaviva nel Barbiere (futuro capolavoro buffo di Rossini e Cesare Sterbini), dopo aver mostrato la “folle giornata” degli adulti alla ricerca della felicità nelle Nozze, approdò con L’altro Tartufo ossia la madre colpevole, a mostrare la rassegnazione degli anziani, la “madre adultera”, la Contessa Rosina che costringe il marito moralista e novello Tartufo Conte d’Almaviva, a riconoscere i propri figli naturali, Léon e Florestine e a farli sposare con l’aiuto degli attempati servitori Figaro e Susanna.
Un lavoro preparato «come si deve», a partire dall’apporto di tre giovani concertatori e direttori d’orchestra, perfezionati nell’Accademia Riccardo Muti: Giovanni Conti, Erina Yashima e Tais Conte Renzetti. Musicisti che sono già qualcosa di più di semplici promesse direttoriali e vanno seguiti con l’affetto e il rispetto dovuti a giovani artisti dotati - per questo evitiamo di stilare classifiche tra loro.
Menzione finale ad una categoria ignorata, l’aiuto regista. Causa infortunio del baritono titolare nella seconda recita di Così fan tutte, sostituito per la parte vocale in quinta da un pronto collega, Romain Gilbert ha recitato la parte di Guglielmo alla perfezione, mostrando di conoscere il libretto parola per parola, intenzione per intenzione. Così non fanno proprio tutti!