È difficile essere il fumettista Zerocalcare. Chi lo seguiva ai tempi lontani del blog e dell’uscita autoprodotta de La profezia dell’armadillo (2011, poi Bao Publishing, come per tutti gli altri libri), chi lo ha scoperto al Premio Strega, chi lo ha seguito fra Turchia e Siria nell’impegnato reportage a fumetti Kobane Calling (2015), chi ha guardato gli illuminanti video animati di Rebibbia quarantine durante l’ultimo confinamento, chi lo ha recentemente ritrovato sulla copertina de «L’Espresso» presentato come «L’ultimo intellettuale»… Ebbene, sembrano avere tutti qualcosa da rimproverare al fumettista romano: troppo mediatizzato, troppo prolifico, troppo riservato, troppo commerciale, troppo politico, troppo troppo troppo. Rimproveri per lo più spazzati via dallo stesso Zerocalcare, che – facendo certo i salti mortali – non si è mai veramente lasciato cullare dal successo e neppure si è abbandonato alle transitorie incoronazioni, ma a testa bassa ha continuato e continua il suo percorso espressivo.
Sono due i suoi libri usciti negli ultimi tempi: al corposo romanzo a fumetti Scheletri si è da poco aggiunto l’occasionale A Babbo morto. Una storia di Natale. Se quest’ultimo è una breve – ancorché provocatoria e irruente – decostruzione del mito natalizio contemporaneo attraverso le derive consumistiche di una società violenta e disumana, Scheletri è un’ulteriore, notevole tappa della ricerca stilistica intorno al racconto quotidiano e spicciolo di sé. Alla grande cautela con cui, nei primi lavori, si tratteggiavano i personaggi che non fossero parte integrante del suo ristretto cerchio degli affetti, Zerocalcare ha infatti da tempo lasciato spazio ad altre individualità.
Grande protagonista di questo romanzo, dunque, ambientato negli anni universitari dell’io «disegnante» (che finge di andare all’università per non deludere la madre, ma si limita a stazionare sulla metropolitana attendendo sera), è Arloc, ragazzo di poco più giovane, che con la sua fame, la sua impulsività e i suoi dolori privati si prende la scena. Il romanzo è un «thriller atipico» (Andrea Fiamma), ma accanto all’ambientazione grigia e soffocante di alcuni scorci, al contesto di violenza e droga di certi quartieri, il libro è soprattutto un pretesto per riflettere sulla difficoltà di trovare non tanto il proprio posto nel mondo, quanto un briciolo di senso e di stabilità personale.
E se l’ironia e i riferimenti pop che hanno dato la celebrità a Zerocalcare continuano a fare capolino fra le pagine, è un altro aspetto a risultare preponderante, come dimostra del resto anche A Babbo morto: una nuova e complessa forma di rabbia. Un’aggressività sempre meno limata, nel disegno come nella scrittura, che spesso cavalca una matura rassegnazione: «[…] certe cose non si imparano. O ce l’hai, o te senti così tutta la vita. E non esiste sensazione più mortificante al mondo». In barba al successo, all’età adulta e a tutti i luoghi comuni: anche quando ti sembra di avercela fatta, nulla è mai veramente raggiunto.
Una nuova rabbia
L’ormai leggendario Zerocalcare per Natale ha dato alle stampe addirittura due nuove opere, dissacranti e sagge
/ 28.12.2020
di Yari Bernasconi
di Yari Bernasconi