Una nana come paradigma umano

Esce per i tipi di Bompiani «L’isola dei pavoni» del tedesco Thomas Hettche
/ 10.04.2017
di Luigi Forte

Un mostro, esclamò la regina Luise scorgendo all’improvviso nel sottobosco il piccolo Christian. Non era un bambino, ma un nano dal naso largo, animalesco, la voce da ventriloquo e le mani corte che penzolavano accanto al corpo tarchiato. Un mostro come sua sorella Marie, che quella parola non riuscì più a dimenticare per tutta la vita. 

Nel suo ultimo romanzo L’isola dei pavoni tradotto da Francesca Gabelli per l’editore Bompiani, Thomas Hettche rivisita la storia prussiana dell’Ottocento da una sorta di giardino dell’Eden, da quel lembo di terra che sembra una nave ancorata in un angolo del fiume Havel fra Potsdam e Berlino. È il racconto di un idillio che il tempo e gli eventi offuscano, di un mondo originario che il progresso altera e degrada, visto con gli occhi di una nanerottola che si fregiava del titolo di giovane castellana.

Anche stavolta Hettche, nato a Treis-Karden nel 1964, cresciuto culturalmente a Francoforte fra germanistica e filosofia, con un debole per lo sperimentalismo, si mostra narratore preciso e curioso, amante del bizzarro e incline a grottesche fantasie. Già nell’ottimo noir, Il caso Arbogast (Einaudi, 2004) la sua scrittura rasentava il documento per spingersi ben oltre verso i fantasmi di una verità inafferrabile e ambigua. Là c’erano corpi inanimati, cadaveri: era un modo quasi epidermico di tallonare i personaggi. L’autore stesso ammise: «Le vicende di una vita sono sempre ciò che si può leggere sulla pelle». Qui gli eventi si seguono invece attraverso le deformazioni del corpo: la storia di Marie Dorothea Strakon giunta bambina su quell’isola felice è una sorta di esotica e triste fiaba che si alimenta di diversità e di profondi turbamenti. «Tutto così piccolo!», le sussurrava il suo amico Gustav destinato a crescere ben più di lei e a integrarsi nella realtà degli adulti. 

Marie ha un cuore grande che i difetti del nanismo rischiano di soffocare. Eppure tutti le vogliono bene, a cominciare dal giardiniere di corte Fintelmann e da suo nipote Gustav, l’amore impossibile della saggia e sensibile nana, che da lui avrà un figlio che le verrà sottratto. Anche il re Federico Guglielmo III ama osservarla e talvolta, durante le sue brevi visite, la intrattiene sulla moglie Luise ormai scomparsa. Col tempo Marie diventa un’icona, un oggetto curioso da ammirare, una delle tante stranezze di quell’isola felice che la fa sentire perfino bella. Mentre il fratello Christian, inafferrabile e misterioso, si aggira come un fauno in quel paesaggio di acque e di fogliame per rispuntare d’improvviso nel loro nascondiglio segreto, rifugio di baci e amplessi. Si appartengono in quanto anomali e quasi inconsapevoli custodi di un’epoca in declino e le loro sagome bizzarre e ferme nel tempo testimoniano che il futuro ha radici nel passato. 

L’isola dei pavoni è una sorta di baluardo contro ogni tentazione moderna, che pur s’insinua in quella natura ancora genuina attraverso le geometrie del grande architetto del paesaggio Peter Joseph Lenné, che la riplasmano in pura bellezza. Persino Marie ne è contagiata e scopre nuovi percorsi e prospettive che sembrano cancellare ogni senso di estraneità. È incantevole perdersi nel labirinto del roseto con la pergola disegnata da Schinkel, e ammirare ovunque centofoglie, ibischi, rampicanti, le nuove ortensie coltivate da Gustav e le palme acquistate presso un collezionista parigino, mentre i pavoni ostentano per la parata nuziale lo splendido blu delle loro piume che talvolta pare di ghiaccio.

Ma l’ambiente è destinato a mutare. Le gabbie degli animali, su richiesta dello stesso monarca, si riempiono di nuove specie esotiche per l’istruzione e il divertimento dei turisti che ora affollano quel paradiso. Il progresso avanza e le novità sono ormai all’ordine del giorno: il primo parafulmine prussiano viene installato sul castello dell’isola, mentre Lenné fa costruire sull’Havel, con il consenso del re, un impianto idraulico a vapore per rifornire di acque tutte le piante e gli animali futuri. 

Hettche incalza il lettore con fatti, personaggi, aneddoti. Ci invita alle feste di Federico Guglielmo II e della sua giovanissima amante Wilhelmine Enke, ci guida nel serraglio fra lama, struzzi e pappagalli, mentre Marie scopre, in compagnia del principe ereditario, lo stanzino haitiano rivestito di tela dipinta. Ma le sorprese non si fermano qui. Il vecchio Fintelmann raccontava ai nipoti la storia dell’alchimista e metallurgista Johann Kunckel, che praticava la magia nera ai tempi del Grande Elettore, e sognava di fabbricare l’oro nel suo laboratorio sull’isola. Forse il suo spirito aleggia ancora fra i boschi insieme al suo cane dagli occhi di fuoco.

In quel mondo di meraviglie, dove il fragore del mondo è un debole fruscio fra gli alberi, Hettche articola gli eventi della monarchia prussiana come su una scena astratta e lontana. Vi attraccano le Altezze Reali, i consiglieri di corte, membri delle migliori famiglie del regno, e persino il futuro Guglielmo I con la giovane moglie Augusta di Sassonia in fuga da Berlino. Ma il teatro della storia resta lontano e allo scrittore riesce il miracolo di filtrarlo con dolcezza e malinconia attraverso il destino della dolce Marie che condensa in sé il tramonto di un’epoca, che rifugge il caos della modernità che lei stessa osserva con sgomento durante una breve visita a Berlino. 

La nana diventa il vero paradigma umano, la mediatrice di una sensibilità a cui gli altri sono per lo più refrattari. Se si esclude forse l’amico Carl, il gigante, un veterano di guerra che lavora al castello, e Peter Schlemihl, il personaggio del romanzo di Chamisso, che non a caso si sentiva estraneo e isolato fra gli uomini. Ma chissà che anche lui non sia frutto della sua fantasia. È ormai ottantenne la piccola Marie quando si volge indietro, fra sogno e realtà, a ripercorrere i momenti più drammatici della propria vita: la morte del fratello ucciso in un attimo d’ira dallo stesso Gustav, la perdita del figlio cresciuto altrove e che pensa di riconoscere in un giovane turista, l’amore impossibile con il suo venerato amico e compagno. 

Hettche sa fondere in modo raffinato sentimentalismo e riflessione, storia e guizzi fantasiosi. Come la nanerottola Marie, donna colta e intelligente, lettrice onnivora, creatura fiabesca che scompare nell’incendio della serra delle palme. Di quel mondo non resta che il bagliore del fuoco e la magia di mille voci sospese nel tempo.