Una grande chitarra dietro un grande sorriso

Ricordo di Franco Cerri che, senza farlo notare, è stato una delle figure più importanti del jazz italiano ed europeo
/ 25.10.2021
di Alessandro Zanoli

A pensarci bene nella storia del jazz gli «obituaries», quegli articoli in ricordo dei grandi musicisti che ci lasciano, non segnano un punto di arrivo definitivo, ma piuttosto segnano l’inizio, la nascita di una leggenda. Scrivere quindi della scomparsa di un famoso jazzista equivale, in un certo senso, ad aprire un nuovo capitolo nella storia del jazz e a fissare un punto dopo il quale quella persona diventerà immortale. Ecco perché, pur nella tristezza dell’occasione, parlare della recente morte di Franco Cerri offre lo spunto per rievocare una carriera smagliante, una figura unica che ha lasciato una traccia indelebile in tutti coloro che l’hanno conosciuto.

Il chitarrista milanese è forse (e magari purtroppo) più famoso per la sua fisionomia che per la sua musica. Grazie al suo volto «scientificamente simpatico» un’agenzia pubblicitaria negli anni 60 lo aveva scelto tra molti candidati come personaggio fortemente rappresentativo e comunicativo e lo aveva fatto diventare il testimonial di una campagna divertente e anche un po’ demenziale. A dire il vero, a noi dispiace un po’ ricordare Franco Cerri come l’uomo in ammollo. Dispiace anche notare come tutti se ne siano ricordati nei molti articoli pubblicati in questi giorni. A noi piacerebbe invece che fosse ben presente nella memoria del pubblico la sua musica, il suo stile così particolare, ricco e complesso.

Il modo di interpretare il jazz di Franco Cerri è stato di altissimo livello. Ed egli stesso è stato un eccellente didatta, ma non per aver frequentato prestigiose scuole. La sua scuola è stata l’orchestra di Gorni Kramer. A contatto con quel genio della musica italiana, dotato di una capacità straordinaria di comprendere e interpretare il jazz, Cerri ha potuto crescere in un contesto unico e stimolante. Senza contare poi che l’Italia del secondo dopoguerra, in cui ha mosso i primi fortunati passi di carriera, era una nazione in cui il bisogno di nuova musica e di nuova cultura musicale era veramente grande. Cerri è stato esponente di punta di quell’ambiente fortunato, un vero progenitore: e questo, potremmo dire, suo malgrado. Pure se la sua nota timidezza e ritrosia gli facevano evitare le luci dei riflettori, la sua bravura non poteva che emergere.

Cerri, dunque, è stato uno tra gli iniziatori del movimento jazzistico milanese, quello degli anni 50 e 60, in cui il meglio dei solisti americani arrivava nella capitale lombarda, invitato a suonare da appassionati come Arrigo Polillo e Roberto Leidi. Fa venire i brividi nella schiena pensare che Cerri abbia potuto dividere il palco con Billie Holiday, con Django Reinhardt, con Chet Baker o Gerry Mulligan.

Eppure è andata proprio così. La storia di questo enorme artista è contenuta in una bellissima biografia, scritta insieme all’amico Vittorio Franchini, dal titolo di In punta di dita. Era una pubblicazione che doveva segnare gli ottant’anni di Franco Cerri. A noi che l’avevamo incontrato in quel periodo, diceva di sentirsi ormai a fine carriera. In realtà la sorte gli ha dato la possibilità di continuare ancora per più di un decennio ad esprimere la sua poetica, fatta di un pensiero musicale complesso e raffinato. Quello stile rimane fissato in vari metodi per chitarra jazz, di cui fa veramente tenerezza rileggere le pagine oggi.

Ma non dobbiamo comunque dimenticare l’uomo. Per tornare al viso accattivante di quell’immagine pubblicitaria, occorre dire che Cerri è stata una persona di rara simpatia. Affabile, e dotato di una comunicativa immediata, istintiva. A chi scrive è capitato per caso di incontrarlo su un volo aereo: per il cronista, e appassionato di jazz, l’occasione di intervistarlo era imperdibile. Cerri con enorme disponibilità aveva accettato molto volentieri questa richiesta imprevista, infilando poi una serie di vivaci aneddoti tratti dalla sua carriera. Gli appassionati e i curiosi potranno trovare quei racconti anche nel bellissimo documentario Franco Cerri. L’uomo in bemolle di Nanni Zedda (verrà passato prossimamente sulla RSI). Sarà il modo per rivedere, e riascoltare, momenti salienti della vicenda di uno dei più dotati e preparati musicisti italiani.

Insomma: con la scomparsa del chitarrista la storia del jazz non chiude la pagina «Franco Cerri». La riapre in bellezza, e d’ora innanzi ce la farà sentire più cara e preziosa.