Una Genziana d’oro per Polaris

Trento Film Festival – Documentari che aprono gli orizzonti
/ 15.05.2023
di Mario Casella

In primavera, con lo sciogliersi della neve, sui pendii in altura sbocciano i primi fiori. Nello stesso periodo, a Trento, spuntano le genziane: gli ambiti premi annuali della cinematografia di montagna.

Al termine della prima settimana di maggio, la giuria del Trento Film Festival ha assegnato la Genziana d’oro per il miglior film in concorso al documentario Polaris della regista spagnola Ainara Vera. È la toccante parabola di due sorelle che tracciano in modo personale la rotta dei propri destini. Hayat è una skipper (nella foto) che ha scelto la navigazione tra i ghiacci dell’estremo nord per fuggire ai traumi dell’infanzia. Quando la sorella minore – Leila – dà alla luce una bambina, si affaccia per entrambe all’orizzonte la promessa di un nuovo inizio. È l’avvincente racconto di un percorso di rinascita. Malgrado la distanza che spesso le separa, le due donne, riescono a invertire il destino della loro famiglia fino ad allora segnato da una coppia di genitori assenti e problematici.

Le altre due genziane dorate hanno invece quale scenario da un lato le vertiginose pareti dello Yosemite e dall’altro i vulcani in attività negli angoli più remoti del nostro pianeta. Il premio per il miglior film di alpinismo è stato assegnato al documentario An Accidental Life dell’americana Henna Taylor mentre quello per il miglior film di esplorazione o avventura è andato a The Fire Within: A Requiem for Katia and Maurice Krafft realizzato da Werner Herzog.

Al suo primo lungometraggio documentario, la regista americana racconta la storia della scalatrice Quinn Brett, vittima di una terribile caduta sulle pareti dello Yosemite all’apice della sua carriera di atleta. Un incidente che ha lasciato l’arrampicatrice paralizzata dalla vita in giù costringendola a reinventarsi una nuova vita.

Werner Herzog invece propone una rivisitazione personale dell’immenso archivio fotografico con duecento ore di filmati, lasciato in eredità dai vulcanologi francesi Katia e Maurice Krafft. Era il 3 giugno 1991 quando un flusso piroclastico – una nuvola di gas e materiali incandescenti – travolse a una velocità di oltre 150 chilometri all’ora i pendii del vulcano Unzen in Giappone distruggendo tutto sul suo percorso e uccidendo la coppia di ricercatori.

Herzog, dall’alto della sua rodata risolutezza, rivisita questi archivi senza farsi distrarre dal recente documentario The Fire of Love realizzato con gli stessi materiali dalla regista Sara Dosa e rimasto fino all’ultimo in corsa per il premio Oscar di miglior documentario per il 2022. L’approccio dell’ormai ottantenne leggenda del cinema incrocia l’epicità delle immagini con musiche roboanti e poetiche alternandole alle sue parole in cui sottolinea di essere stato affascinato dallo sguardo cinematografico di Maurice Krafft.

La settantunesima rassegna del film di montagna ha ancora una volta allargato i suoi orizzonti alle altre forme di narrazione. Impossibile elencare tutti gli spunti proposti, come problematico è stato anche per vari eventi trovare un biglietto d’entrata. Ironia del programma, anche uno dei momenti forti della kermesse alpina è sembrato richiamare l’arrembaggio attorno ai temi montani. Assalto alle Alpi è il monologo teatrale di Marco Albino Ferrari, un racconto dal vivo tratto dal suo nuovo libro (Einaudi) in cui – con immagini e parole – rivisita gli sfrenati anni ’70 quando gli imprenditori venuti dalla pianura presero d’assalto l’intero arco alpino, cementificando le montagne dalla Francia all’Italia per poi avanzare sempre più a Oriente.

Negli inverni odierni gli effetti e i progetti realizzati negli anni del boom economico stanno ormai annegando sotto la pioggia e per l’immediato scioglimento della già scarsa neve provocato dalle alte temperature. Quali speranze può riservare il futuro per le nostre Alpi? Ferrari ci indica alcuni sentieri da seguire. Sentieri e non altro cemento, come si legge nelle pagine del suo saggio: «Il pericolo reale è che tutto rimanga come adesso, che si continui a immaginare lo stesso sviluppo turistico con nuovi impianti di sci, dimentichi del riscaldamento climatico. Che si continui a cementificare, costruire impianti di risalita, progettare grandi opere inutili e grandi eventi consumatori di suolo».