Dove e quando

Werner Bischof. Unseen Color, Lugano, Museo d’arte della Svizzera Italiana, LAC. Fino al 2 luglio 2023. www.masilugano.ch

Zurigo, Svizzera, 1939 (© Werner Bischof Estate / Magnum Photos).

Un Werner Bischof inedito protagonista al MASI

Per la prima volta un’esposizione racconta l’utilizzo del colore del fotografo svizzero che raggiunge risultati quasi pittorici
/ 20.02.2023
di Gianfranco Ragno

È estremamente suggestivo scoprire nuovi aspetti di uno dei fotografi svizzeri più famosi come Werner Bischof (1916-1954). Per la prima volta l’esposizione al MASI di Lugano mette in luce il lato più inedito dell’artista zurighese e cioè quello riguardante l’utilizzo del colore.

Fino a oggi si conoscevano alcune delle sue immagini realizzate con queste speciali pellicole, come, ad esempio, il volto del ragazzo olandese graffiato di schegge e con l’occhio di vetro, discussa copertina della rivista «DU» del maggio del 1946. Oppure altre contenute nel fortunato libro illustrato Japan, edito per Manesse del 1954, tra cui la magnifica copertina.

Ma mai fino ad ora si era indagato approfonditamente ed in maniera esaustiva l’utilizzo del colore, ovvero analizzando, in modo congiunto, sia l’attività pubblicitaria sia quella di reportage. Tutto ciò è stato reso possibile grazie ad un lavoro d’archivio finalizzato a proporre al pubblico immagini inedite e altre stampe digitali da negativi recentemente restaurati, per un totale di un centinaio di fotografie in mostra.

Nato a Zurigo nel 1916, Werner Bischof frequentò la nota scuola di arte applicate (Kunstgewerbeschule) di Zurigo (1933-1936), dove insegnava Hans Finsler, docente tedesco attento alle nuove tendenze insieme ad altri maestri della grafica e della composizione. Subito dopo il periodo formativo, Bischof aprì il suo studio fotografico pubblicitario e a causa della guerra si trovò ad operare forzatamente entro i confini svizzeri.

La prima sezione dell’esposizione corrisponde proprio alla fotografia di studio. Già dalle prime prove si nota il suo virtuosismo tecnico, il preciso equilibrio della composizione – si tratti di oggetti, di fiori o di persone. Bischof può utilizzare un banco ottico di grande formato, il Devin Tri Color, che produce dei triplici negativi a colori di altissima qualità; il giovane fotografo ne esplora le possibilità creative, con esperimenti formali, fino a toccare risultati di un innegabile lirismo. Si tratta di immagini per la pubblicità e, in seconda battuta, per quell’industria tipografica svizzera allora all’avanguardia nella produzione di stampati a colori.

La seconda sezione si sviluppa nel secondo dopoguerra – Bischof esce dallo studio per entrare nel mondo profondamente ferito, e nel suo sguardo si inizia a cogliere quella profonda umanità e partecipazione che tanto lo ha contraddistinto. Sul piano tecnico, utilizza soprattutto una Rolleiflex 6x6, quindi dal formato quadrato. Con il collega Emil Schulthess parte per una sorta di viaggio dantesco nell’Europa postbellica, diventando testimone delle macerie di un continente distrutto. Attraversa le città più colpite dai bombardamenti – Colonia, Dresda e infine Berlino. Qui fotografa, a colori, un Reichstag spettrale, crivellato, scavato dalle schegge delle bombe, che sembra sbriciolarsi agli occhi di chi guarda l’immagine.

Da qui in avanti il suo viaggio non si ferma più: si sposta da un continente all’altro, dall’India all’Asia e al Giappone, e ancora tutta Europa. Entra in Magnum nel 1949 – la celebre cooperativa indipendente di fotogiornalisti – e pubblica sui principali magazine mondiali, come «Life». A volte si sofferma sulle giovani vittime dei conflitti, con particolare empatia, senza pietismo o spettacolarizzazione del dolore. Una sensibilità che riporta anche nelle produzioni a colori dove la sfida aggiuntiva è quella di trovare un bilanciamento tra le aree di colore intorno al soggetto, giungendo a esiti modernissimi, quasi pittorici.

Una terza sezione indaga le immagini prodotte sull’utilizzo della più agevole e leggera Leica – una reflex che usa una pellicola 35 mm, lo stesso apparecchio reso celebre da Henri Cartier-Bresson. Nel 1953 è negli Stati Uniti, dove il nuovo mondo si presenta in tutta la sua modernità, con il suo panorama urbano fatto di linee e geometrie spinte verso l’alto – Bischof coglie gli aspetti grafici con abilità, come d’altra parte fece in tutta la sua carriera, grazie alla padronanza del mezzo fotografico. Come è proprio del suo stile, con l’agile strumento produce composizioni pressoché perfette, caratterizzate dall’equilibrio e dalla purezza delle linee.

Proprio durante questo viaggio nelle Americhe, Bischof decide di spostarsi verso il Sud del Nuovo Continente dove si offrono all’obiettivo le geometrie delle civiltà precolombiane. Purtroppo, il 16 maggio del 1954, durante un trasferimento Bischof muore a trentotto anni in un incidente automobilistico sulle Ande peruviane. Nove giorni dopo in Indocina se ne va anche il suo collega e fondatore della Magnum, Robert Capa.

L’esposizione luganese – progettata dal MASI Lugano, la Fotostiftung Schweiz (Fondazione svizzera per la Fotografia) e Werner Bischof Estate – offre, senza dubbio, una nuova prospettiva ed un suggestivo aggiornamento riguardo questo autore molto amato. Al contempo conferma quelle che sono state le sue capacità di coniugare le qualità estetiche – assorbite durante il periodo zurighese – all’impegno sociale attraverso il quale ha dato testimonianza di ciò che accadeva nel mondo. Ed è questo che ancora oggi fa di Werner Bischof un vero artista.