Come vedere il film
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Un Vangelo per i nuovi schiavi

Le ultime ore di Cristo e il caporalato nel nuovo film di Milo Rau
/ 12.04.2021
di Simona Sala

Che Milo Rau, giornalista, saggista e regista bernese, classe 1977, non temesse le sfide, è cosa nota da tempo. Che solitamente ne esca vincente, anche, come dimostrano l’adorazione di pubblico e critica – la lista dei premi vinti per le sue produzioni è ormai impressionante tanto quanto l’elenco delle città che l’hanno invitato a rappresentare le sue controverse opere. Questa volta però, con il suo Das Neue Evangelium, si ha quasi l’impressione che Rau abbia voluto spingersi ancora un po’ più in là, costringendo spettatrici e spettatori a specchiarsi nel proprio concetto di religione e nella sua rappresentazione. Il risultato è una docu-fiction difficile da raccontare, per la complessità che la contraddistingue, ma anche per l’intimità e la connotazione politica dei temi tirati in ballo.

Il film si apre a Matera, dove sul tetto di un edificio Milo Rau spiega a Yvan Sagnet le particolarità della città, che con le sue pietre bianche e quel promontorio ricorda tanto Gerusalemme e il Golgota: luoghi che, non a caso, prima di lui ispirarono Pier Paolo Pasolini nel 1964, che vi girò Il Vangelo secondo Matteo, e Mel Gibson nel 2004, che scelse la location per La Passione di Cristo. È dunque chiaro da subito che si cercherà, anche se con modalità a quel punto non ancora svelate, di raccontare una nuova Passione, al passo con quelli che sono i nostri, di tempi, e di conseguenza i nostri nodi irrisolti.

Poco più avanti si viene infatti catapultati in un mondo parallelo, eppure tutto italiano, in cui pullulano e sopravvivono nel vero senso della parola gli ultimi degli ultimi, i reietti senza voce, coloro che la società ignora e respinge, ma che Cristo apertamente prediligeva. Con sensibilità e attenzione, Rau ci proietta infatti all’interno della realtà del caporalato, dove la manodopera (quasi esclusivamente di provenienza africana) costa appena 4,20 euro lordi all’ora, e dove assistenza sanitaria, dignità e umanità, non sono che un concetto lontano, quantité assolutamente négligeable.

Yvan Sagnet, attivista e scrittore camerunense, assurto agli onori della cronaca per il suo impegno nella lotta al caporalato nelle regioni meridionali d’Italia e per la fondazione dell’Associazione NoCap, non poteva, a questo punto, essere un Gesù Cristo più ideale, non da ultimo proprio in virtù di quella sua provenienza dal continente africano. Sagnet-Cristo girerà di baracca in baracca e di campo di pomodori in campo di pomodori, raccogliendo, oltre a un gruppo di discepoli da portarsi appresso, anche i racconti di fatica e disperazione di chi passa la vita chino sui campi altrui, spinto dalla mera necessità di sopravvivenza, obbligato a rinunciare alle speranze lungamente coltivate e nutrite fino al momento dell’approdo in Italia, finta Terra Promessa.

Parallelamente (e spesso in un intreccio inestricabile) procede la ricostruzione delle ultime ore di Cristo, narrata con tristezza quasi ironica dall’inconfondibile voce di Vinicio Capossela (interprete anche delle canzoni che accompagnano il film) e contrappuntata da personaggi che sarebbero molto piaciuti a Pasolini, primo fra tutti Marcello Fonte, che avevamo imparato ad amare in Dogman di Matteo Garrone e che qui interpreta Ponzio Pilato, ma anche Enrique Irazoqui, attore, attivista e intellettuale, che nel Vangelo Secondo Matteo interpretava Gesù Cristo, e che purtroppo è scomparso lo scorso mese di settembre.

A Rau riesce la sorprendente operazione di chiamarci in causa tutte e tutti, indistintamente, da una parte come portatori dei valori cristiani, dall’altra come consumatori di quei pomodori che sono il vergognoso frutto di sudore e sangue.