Un uomo e un violoncello

Il musicista ticinese ha tenuto alcuni concerti «in solo» in varie località del nostro cantone e poi della Svizzera interna
/ 19.07.2021
di Enrico Parola

«Torno spesso in Ticino, porto i miei tre figli dai nonni, vedo gli amici e i colleghi musicisti; non di rado sono venuto per dei concerti, ma questa volta, dopo il lungo e duro lockdown subìto anche da teatri e concertisti, ha un sapore tutto speciale». Non nasconde l’emozione e neppure i sentimenti con cui ha attraversato l’anno segnato dalla pandemia, Mattia Zappa, violoncellista, compositore e responsabile artistico dei Solisti della Svizzera Italiana; a inizio luglio ha tenuto alcuni recital nella sua regione d’origine: il 4 nella chiesa di San Carlo a Barbengo, il giorno dopo in San Giorgio a Morbio Inferiore, il 7 nella chiesa Nuova di Locarno, per poi proseguire il tour a Lucerna e in altri luoghi della Svizzera Interna.

«L’ho intitolato “One –Cello” non solo perché ho suonato da solo col mio strumento, ma perché dopo la terza Suite di Bach ho proposto tre trascrizioni da brani non pensati per violoncello, donatemi personalmente da alcuni amici musicisti. Johann Sebastian Paetsch, primo violoncello dell’Orchestra della Svizzera Italiana, ha curato quelle della celeberrima Ciaccona dalla seconda Partita per violino solo di Bach e della forse ancor più popolare Toccata e fuga in re minore per organo, sempre del sommo Johann Sebastian; invece l’Adagio di Samuel Barber, altra pagina che soprattutto grazie al cinema ha avuto una diffusione planetaria, è stato trascritto da Sandro Laffranchini, primo violoncello della Scala di Milano, con cui tra l’altro ero compagno di classe quando studiavamo – erano gli anni 1996-98 – con Thomas Demenga alla Musikakademie di Basilea».

La trascrizione non è una mera ripetizione delle note su uno strumento diverso da quello, originariamente pensato dal compositore: «Anche perché, pensiamo ad esempio alla Toccata e Fuga, non è possibile eseguire tutte le note scritte da Bach per i tasti e la pedaliera di un organo, e quindi Laffranchini ha già dovuto scegliere come rendere l’effetto polifonico rinunciando ad alcune note, ma mantenendo armonie e andamenti contrappuntistici. E comunque trattare il violoncello come uno strumento polifonico è tutt’altro che facile, e anzi prima di Bach non era letteralmente pensabile. Fu lui a lanciarlo in questa nuova dimensione, così come fece col violino, come testimonia questa mirabile cattedrale di note, armonie e contrappunti che è la Ciaccona».

Una vertigine sublime e misteriosa, in cui l’acribia dei musicologi ha scoperto un riverbero commovente della biografia bachiana: Johann Sebastian dovette seguire il nobile presso cui lavorava in un soggiorno di cure; sarebbe dovuto durare solo poche settimane, invece si protrasse e quando Bach fece ritorno scoprì che la moglie era morta e le era già stato officiato il funerale; e lui non era stato neppure avvertito! Come omaggio postumo, Bach inserì in questa Ciaccona alcuni Corali usati in altre sue opere che trattano della Passione, Morte e Resurrezione di Cristo, in tal modo dedicando alla consorte una liturgia musicale, dal dolore per la morte alla speranza, da sincero cristiano qual era, nella vita eterna, criptata in questo capolavoro violinistico. «Già, e alle notevoli difficoltà tecniche – un conto sono le corde e l’archetto di un violino, un altro quelle di un violoncello, ben più grandi – e interpretative, subentrano anche quelle timbriche: Bach aveva pensato l’opera per un violino, quindi ho dovuto dedicare un grande lavoro alla resa sonora, così come per la Toccata e Fuga, ad esempio eliminando completamente il vibrato, già nell’accordo che dà il La all’opera, per avvicinarmi al suono dell’organo».

Considerando anche l’effetto «cameristico» (l’originale sarebbe per quartetto d’archi) dell’Adagio di Barber, suona quasi come un’intrusa la terza Suite: «Splendida, un Do maggiore luminoso che rifulge anche più del Re maggiore della Sesta. Vuole essere un messaggio di gioia per riprendere a suonare davanti al pubblico; nonostante abbia avuto tanto tempo per studiare, ad esempio queste splendide ma difficili trascrizioni o repertori desueti come le musiche tradizionali georgiane e le opere di Schulhoff, questi mesi sono stati durissimi: prima senza musica, che è il nostro pane quotidiano, poi senza pubblico, con i teatri vuoti o in questi ultimi tempi con cinquanta persone, quasi imbarazzate ad applaudire nella vastità della Tonhalle (Zappa suona nell’orchestra zurighese, ndr.). I cento spettatori che hanno potuto assistere a questi recital hanno provato un gusto incredibile, dimenticato, tutto da riassaporare».