Un secolo fa la caduta dei Romanov

Dagli zar rossi agli zar bianchi: la Storia con la maiuscola in un avvincente libro di Simon Sebag Montefiore
/ 06.06.2017
di Luciana Caglio

Pietrogrado, 3 marzo 1917: nella capitale, ormai, nelle mani dei rivoluzionari bolscevichi, lo zar Nicola II è costretto ad abdicare. Tenta, però, di giocare un’ultima carta per salvare la dinastia dei Romanov cedendo il trono al fratello, il granduca Michele, figura marginale, politicamente meno compromessa. Ma, in un momento storico che aveva segnato la fine degli imperialismi autoritari, anche la vicenda dei Romanov, come poi quella degli Asburgo, era giunta al capolinea. Per oltre tre secoli, attraverso personaggi leggendari, dal precursore Ivan il Terribile a Pietro il Grande, alla Grande Caterina con la sua «anima gemella», il ministro Potemkin, ad Alessandro II, aveva gestito un impero di dimensioni inverosimili: copriva un sesto della superficie mondiale e racchiudeva un mosaico di 104 nazionalità e 146 lingue, dove i russi erano soltanto il 44 per cento. Una minoranza cui doveva spettare un ruolo egemone, sul piano politico e culturale, realizzando così le ambizioni di una grande potenza mondiale. Con la Russia zarista e poi sovietica ci si trovò sempre a fare i conti. E la partita rimane aperta. Un secolo ci separa dalla conclusione dell’era zarista che, tuttavia, sotto mentite spoglie, ha lasciato tracce persistenti nella topografia politica attuale. La figura di Putin continua a esserne l’emblema.

Qui sta la singolarità di un centenario, non paragonabile alle abituali celebrazioni imposte dal calendario: in altre parole, non soltanto si commemora ma si riflette sul nostro ieri e sul nostro oggi. Da qui è partito Simon Sebag Montefiore, storico, giornalista, romanziere inglese, con origini russe recuperate, per ricostruire l’itinerario di una dinastia che sembra riunire, addirittura simbolicamente, virtù e vizi del potere: tutto ciò in un volume di 800 pagine, The Romanovs (Weidenfeld&Nicolson), di cui è già uscita la traduzione tedesca e, prossimamente, sarà la volta di quella italiana. E via via, in decine di altre lingue. Sul piano editoriale Montefiore rappresenta una garanzia di successo, e in pari tempo, di seria professionalità, confermata dalla cattedra a Cambridge. Autore di biografie, che gli sono valse continui riconoscimenti (British Book Award, Los Angeles Time Award, Le Grand Prix de Biographie, ecc.) appartiene a quel filone della saggistica anglosassone che, sfidando le diffidenze degli storiografi accademici, propone un nuovo approccio: la realtà storica affidata alla narrazione. Lo scrittore, insomma, attinge dagli archivi il materiale con cui, poi, raccontare la Storia con la maiuscola e, in pari tempo, le singole storie di protagonisti che, nel caso dei Romanov, furono vittime del loro strapotere. «Perché, osserva Montefiore, questo è anche un ritratto dell’assolutismo, in Russia, la parabola della follia e dell’arroganza provocate dal despotismo, abbinato però alla magnificenza. E sempre all’insegna di una deviante religiosità. Tanto che, alla fine, Nicola II credette persino di essere la vittima di una congiura ebraica».

Effettivamente, ci fu di tutto alla corte di Pietrogrado. Vi andarono in scena protagonisti e comparse d’ogni sorta che, in queste pagine, fanno rivivere uno spettacolo affascinante, che sembra inventato. Invece è animato da attori reali. Filosofi e artisti, invitati da Caterina, architetti, fra cui Domenico Trezzini, incaricati da Pietro il Grande di rifare l’immagine della capitale, riformatori illuminati che indussero Alessandro II ad abolire lo schiavismo. Ma su questa stessa scena ebbero una parte, eccome, anche nani e ballerine, come dire il sottobosco di prostituti d’ambo i sessi, e non da ultimo guru e santoni, di cui Rasputin fu l’esemplare più tragicamente determinante. La sua presenza, nelle vesti di presunto guaritore, a fianco della zarina Alessandra e del piccolo Alessio, malato di emofilia, contribuì a discreditare la famiglia imperiale agli occhi dell’opinione pubblica. Ormai su di loro gravava un’irremissibile condanna a morte. A Ekaterinburg, nella notte del 17 luglio 1918, in uno scantinato, l’intera famiglia imperiale, domestici compresi, undici persone, fu annientata da una grandinata di spari. Un colpo trafisse addirittura un componente della squadra degli esecutori, peraltro non tutti consenzienti. Si venne poi a sapere che alcuni si erano rifiutati di uccidere un bambino e quattro ragazze, colpevoli di essere le figlie dello zar. Queste ultime si erano illuse di riuscire a proteggersi cucendo dei diamanti nei corsetti.

Qui, appunto, Montefiore rivela la magistrale capacità di arricchire i fatti storici con risvolti umani, curiosi e sconcertanti. Ecco, ad esempio, che proprio lo sfarzo degli abiti imperiali metteva a dura prova la resistenza delle zarine: letteralmente crollavano, svenute, sotto il peso di broccati intessuti con fili d’oro e argento, incastonati con pietre preziose, per non parlare degli orecchini, che deformavano i lobi delle orecchie, e tutto ciò in nome della gloria dei Romanov. Agli inizi di quest’epopea dinastica, le future imperatrici venivano reclutate fra giovanissime ragazze, quasi bambine, fatte arrivare da lontane province e sottoposte al giudizio estetico dello zar: insomma, una sorta di mercato delle schiave. Altro che i nostri concorsi per le miss. E, altro che lo scandalo di Clinton, nella sala ovale della Casa Bianca: una bazzecola in confronto alla relazione che unì, per decenni, Alessandro II, quarantenne, alla sedicenne Katia, alla quale lo zar dedicò migliaia di lettere (sarebbero addirittura 4000) e ritratti, ad alto contenuto erotico. Sotto forme diverse – omosessuali, lesbiche, legami a tre – l’erotismo era di casa, alla corte di Pietrogrado. L’autore non vi insiste con intenti pruriginosi. Si tratta, in ultima analisi, di proporre un’immagine il più possibile realista e attuale di personaggi passati, come si dice, dalla polvere agli altari. Infatti, il 17 luglio 1998, in occasione dell’ottantesimo anniversario dell’eccidio di Ekaterinenburg, Eltsin ruppe il silenzio: parlando di un «crimine mostruoso». Nel 2007, vennero scoperti e identificati i resti dei Romanov. E, decisione discutibile, nel 2000 la chiesa ortodossa proclamò la santificazione di Nicola II. Conclude Montefiore: dagli zar rossi si è passati agli zar bianchi.