Dopo la viola e il clarinetto, sarà un violino a guidare l’Orchestra della Svizzera italiana. Il terzo appuntamento del ciclo «Osi in Auditorio» porta giovedì allo Stelio Molo Sergej Krylov, 48enne talento russo che come Yuri Bashmet e Jörg Widmann si esibirà da direttore e solista.
Il cimento nel doppio ruolo è tutt’altro che saltuario per lui, che dal 2009 guida l’Orchestra da Camera della Lituania; ad ispirarlo è stato proprio Bashmet: «Abbiamo suonato insieme varie volte e spesso lui oltre a suonare dirigeva. Ma al di là di questo particolare tecnico, mi ha ispirato a livello umano; lui è come Rostropovich – ho avuto la fortuna di frequentare anche il grande violoncellista (che tra l’altro definì Krylov «uno dei cinque migliori violinisti d’oggi», ndr.) – un grande artista ma al tempo stesso una persona semplice, umile, normale. Passare del tempo con queste personalità equivale ad assistere a lezioni di vita e non solo di arte».
Le une e le altre aveva già iniziato a impartirgliele suo padre Alexander: «Era violinista e fu anche uno dei primi liutai sovietici a studiare in Italia; nel 1971, quando avevo solo un anno, si iscrisse alla scuola di liuteria di Cremona; ha costruito più di 300 strumenti, all’inizio cercando di imitare i modelli di Stradivari e Guarneri, poi elaborando un suo stile». È per questo che nel 1989, dopo la caduta del Muro di Berlino, quando la famiglia Krylov decise di lasciare la Russia la scelta fu rapida: «Andammo a vivere a Cremona. Purtroppo papà non riuscì a godersi a lungo la nostra nuova casa, è morto ad appena cinquant’anni». Non prima di creare, nel 1994, il violino che Sergej tuttora suona e che per lui ha ovviamente un valore inestimabile, superiore agli Stradivari che pur ha imbracciato.
Nella città del mitico liutaio Krylov ha perfezionato con Accardo un talento precoce che lo aveva portato a tenere il primo recital pubblico a soli sei anni e a esibirsi con l’orchestra a dieci, solista nel Concerto in la minore di Bach. «Mi considero un musicista russo perché ho avuto la fortuna di crescere in una delle migliori scuole violinistiche del mondo, quella del Conservatorio di Mosca; ma al tempo stesso sono ormai profondamente europeo, il che non snatura ma arricchisce le mie radici».
È grazie al trascorso da enfant prodige che non prova tensione o pressione quando sale sul palco: «Mi esibisco davanti a delle persone da quando avevo sei anni: a quell’età si è incoscienti e non si ha paura; quando è arrivata l’età della consapevolezza ero ormai abituato al pubblico, non mi sembrava una giuria ma un elemento ovvio e imprescindibile del concerto; mi sono sempre rapportato con la gente seduta in sala con sincera naturalezza».
Krylov riesce a coniugare una tecnica ferrea (ha inciso i 24 Capricci di Paganini per la Deutsche Grammophon) con un’estrema sensibilità espressiva (anche qui testimoniata in dischi dedicati a Vivaldi e Mozart): «Penso che la vera arte inizi quando la tecnica scompare; il pubblico non deve percepire la fatica e lo sforzo di eseguire certe note, bensì il pensiero che si nasconde in ogni brano; l’arte è questo pensiero, è una Bellezza più grande di noi, quella con la “B” maiuscola. In questo senso mi piace definire l’artista un “cacciatore della Bellezza”: lo scopo dell’artista è tendere alla perfezione, ma questa perfezione altro non è che la Bellezza».
Assieme alla Osi cercherà di trasmettere al pubblico luganese quei pensieri che prendono forma in tre brani assai distanti tra loro. Si parte da Fratres di Arvo Pärt, sequenza quasi ipnotica di variazioni su un’idea generatrice di sole sei battute; un’essenzialità che è il centro etico ed estetico di questo compositore: «Il complesso e lo sfaccettato mi confondono, devo cercare l’unità; la perfezione sono le tre note dell’accordo, le sento come tre campane». Poi la luminosa Serenata per archi del boemo Dvorak e infine uno dei più amati e appassionanti Concerti per violino, quello di Mendelssohn.