Abbiamo incontrato Nadia Terranova, autrice di Addio Fantasmi (Einaudi, pp. 208, euro 17,00) selezionato per la cinquina del Premio Strega 2019. Le abbiamo chiesto di raccontarci di questa esperienza e del suo ultimo romanzo: è la storia di Ida che rientra a Messina, sua città natale, dove la madre le ha chiesto di raggiungerla per aiutare a svuotare la «loro» casa, quella in cui la protagonista è nata, ha vissuto e da dove suo padre una mattina è uscito, senza più ritornare. Con Nadia abbiamo parlato di ritorni impossibili, anche di quelli che ognuno di noi tenta di fare per rintracciare il proprio passato.
Una prima domanda d’obbligo è relativa al Premio Strega: il tuo romanzo è stato selezionato per la cinquina finale. Ci descrivi le tue emozioni?
È stata una sorpresa crescente, non ero neanche così convinta che sarebbe stato candidato. È successo che uno degli «Amici della domenica», ovvero Pierluigi Battista, abbia dimostrato il desiderio di candidarlo e io mi sono lasciata trasportare dall’entusiasmo che ha circondato il libro. Sono stata sempre felice, ho affrontato il percorso con la consapevolezza che ci sarebbero stati momenti critici, in cui mi sarei chiesta con quale criterio di valutazione sarebbe stato giudicato il romanzo nelle diverse fasi. Mi sono chiesta quanto sarebbero pesate le logiche editoriali e l’apprezzamento dei lettori. Al di là quindi della semplice e genuina felicità, il corollario di emozioni è stato ben più complesso.
A un certo punto del tuo romanzo scrivi che la protagonista sente l’esigenza di: «mettere nelle mie storie il dolore che non sapeva stare altrove». La scrittura è una forma di salvezza?
Credo che la scrittura sia una forma di salvezza nel momento in cui si trasforma in un ponte di comunicazione verso gli altri, ma non credo che il semplice atto di scrivere e di sfogarsi sia di per sé terapeutico. Per me ha a che fare col destino e con la salvezza l’idea di essere letta, che qualcuno un giorno, mesi o anni dopo l’uscita del mio libro, mi scriva e mi dica: «anche io». Ecco, in quella testimonianza di condivisione, sento una salvezza. Così sono uscita anche dal dolore che mi aveva provocato la scrittura di Addio fantasmi. Pur non essendo infatti un racconto meramente autobiografico, per scriverlo avevo comunque saccheggiato tra le mie assenze e i miei vuoti e vedere che si erano trasferiti su carta, su un personaggio immaginario, mi provocava sconcerto. Invece questi lettori che si avvicinano dicendo di aver condiviso parti di quella storia, hanno generato una forma di guarigione che non so ben definire, ma che ho sentito come molto letteraria. Forse perché se la scrittura non salva, di certo salva la lettura.
«Tornare è sempre un errore» scrivi. Si tratta di una visione molto interessante dell’impossibilità di tornare davvero, per chi si è trasferito altrove, nel luogo in cui si è nati, perché quel posto scompare nel momento in cui lo abbandoniamo e spesso ritornandoci ritroviamo solo le ragioni per cui ce ne siamo andati. Che ne pensi?
Credo che la risposta sia in una frase di Cesare Pavese, che diceva: «un paese ci vuole». Un paese ci vuole perché ci vuole un posto in cui tornare, anche se non si tratta di un ritorno fisico, ma nel terreno dell’immaginario, del ricordo, della memoria. Tornare sui propri passi con un libro è una consuetudine: sono tanti i testi che trattano infatti il tema del nostos. Ida mentre pronuncia quella frase sta dicendo anche l’esatto contrario, cioè sta utilizzando quella espressione come un esorcismo, perché se non fosse davvero tornata e non avesse riattraversato il luogo del ritorno, i suoi fantasmi sarebbero rimasti sterili.
Nel romanzo i sogni hanno un loro posto, sono parte della trama: il risultato è un rafforzamento dell’intimità tra la protagonista e i lettori.
Ho deciso di raccontare i sogni perché da piccola sono rimasta affascinata dalla lettura de L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, che lessi come se fosse stato una raccolta di favole e miti e quindi sono stata colpita dalla possibilità dei sogni di esseri liberi da ogni morale nel racconto di mostri, paure, nell’esplorare territori sconosciuti. Quando ho letto Il libro dei sogni di Artemidoro, che racconta l’interpretazione dei sogni nella Grecia classica, mi si è rafforzata l’idea che ci fosse una simbologia misteriosa che unisce la nostra vita diurna e notturna e soprattutto che ci fosse in Ida la necessità di produrre narrazione anche nel sogno. Sentivo di avere creato un personaggio le cui notti non potevano essere tranquille, dovevano portare avanti il discorso narrativo delle ore di luce. Così ho creato la Ida notturna, dei sogni e del dormiveglia, delle visioni.
È interessante come nella storia che racconti le diverse età della protagonista coincidono con diverse personaggi, come se la bambina, la ragazzina e poi la donna fossero sì la stessa persona, ma anche irrimediabilmente diverse. Ce ne parli?
In Memoria di ragazza Annie Ernaux dialoga con la foto di se stessa adolescente, ed è come se dialogasse con una persona che è sia lei, col suo nome e cognome, di cui l’autrice conosce tutto, ma anche qualcuno di lontanissimo. E così accade anche in Argo, il cieco e i sogni della memoria, un libro di Bufalino che ho amato molto, in cui c’è il dialogo incessante tra uno scrittore anziano e uno giovane, trentenne, che trascorre un’estate a Modica. Anche lì c’è una iniziazione sentimentale ed è interessante che questo momento della nostra esistenza venga sempre scelto come quello in cui diventiamo qualcun altro. Anche in Addio fantasmi Ida si rivolge a una se stessa che sta per varcare esattamente quella soglia.
In generale credo che siamo formati da tutti i fantasmi delle persone che siamo state, come una sovrapposizione di persone e corpi che abbiamo abitato e che poi si sono trasformati. Stai già scrivendo altro? Sto lavorando a un altro libro che sarà diverso dai precedenti, ma ci saranno ancora Messina e lo stretto. È un progetto ambizioso che ha bisogno di tempo. Usciranno prima dei libri per ragazzi e un testo a settembre che raccoglie alcuni miei articoli e interventi sulla letteratura per l’infanzia, con degli inediti.