Un festival senza grandi scossoni rispetto al passato, la prima edizione della Berlinale diretta da Carlo Chatrian, proveniente direttamente da Locarno. La rassegna tedesca ha celebrato il 70° con uno slittamento di due settimane rispetto alle date consuete, a causa dell’anticipo degli Oscar, qualche aggiustamento nelle sezioni e nella logistica. Niente di trascendentale, come pure, quando mancano pochi titoli alla conclusione, nella selezione di film, che non si discosta dalle annate passate: alcuni grossi autori (magari non al massimo), qualche novità emergente, dei carneadi e delle provocazioni, non sempre riuscite.
Tra le cose migliori le opere di due registe americane ancora non abbastanza conosciute e riconosciute, First Cow di Kelly Reichardt e Never, Rarely, Sometimes, Always di Eliza Hittman. Il primo è un western intimista, fatto di dettagli, nell’Oregon di fine ’800, su un’amicizia maschile e non virile. Un cuoco al servizio di una compagnia di cacciatori di pellicce si imbatte in un immigrato cinese inseguito da due russi. Insieme si stabiliranno in un villaggio e intraprenderanno un’attività, producendo e vendendo biscotti lavorati con il latte munto di nascosto alla mucca del vicino, la prima arrivata nel circondario. «Never, Rarely, Sometimes, Always» sono invece le possibili risposte del questionario che la diciassettenne Autumn si trova a compilare prima di abortire. Studentessa della Pennsylvania che lavora in un supermercato e ama cantare, la ragazza scopre di essere incinta. Senza dire nulla a nessuno, se non alla cugina che la accompagnerà, decide di andare a New York per un aborto legale.
Un film che sulla carta può ricordare Juno, ma se ne distanzia nell’asciuttezza di un racconto dove non si giudica e si segue con empatia il viaggio della protagonista che sembra dover adempiere un destino per tornare alla propria adolescenza.
La Svizzera è stata in gara con Schwesterlein – Little Sister di Stéphanie Chuat e Véronique Reymond, opera seconda delle registe romande note per La petite chambre. La vicinanza di due gemelli, Lisa e Sven, lei scrittrice, lui attore alle prese con un grave tumore e un trapianto di midollo che non ha funzionato. Un dramma sulla malattia senza grandi sprazzi o spunti originali, che si appoggia sulle buone interpretazioni di Nina Hoss e Lars Eidinger.Quest’ultimo è coprotagonista pure di Persian Lessons dell’ucraino Vadim Perelman, presentato nella sezione Berlinale Special, un film sui campi di concentramento che riesce a distinguersi in un filone molto frequentato e potrebbe essere un successo nelle sale. Siamo nel 1942, il giovane ebreo belga Gilles (Nahuel Perez Biscayart di 120 battiti al minuto) è deportato e per salvarsi afferma di essere persiano: caso vuole che trovi un ufficiale tedesco desideroso di imparare il farsi per andare in Iran ad aprire un ristorante alla fine della guerra. Il protagonista dovrà inventarsi da zero una lingua che non conosce, elemento base per un film curioso e solido che evita la retorica.
Coproduzione italo-ticinese con Amka Film, dedicato alla recentemente scomparsa Tiziana Soudani, è Favolacce dei fratelli D’Innocenzo, passato in concorso con un’accoglienza positiva. Una vicenda corale ambientata in una periferia di casette a schiera dove vive un’umanità imbruttita con adulti volgari, inadeguati e rabbiosi e con i ragazzini la cui crescita è turbata dalla situazione che si percepisce e si ribellano in maniera spiazzante.
Altra coproduzione, in questo caso con Cinédokké di Michela Pini, è Palazzo di giustizia, opera prima della comasca Chiara Bellosi. Una giornata dentro un tribunale, osservando le vite di chi lavora, attende un verdetto o accompagna. Protagoniste sono due giovani, la piccola Luce figlia di un rapinatore e l’adolescente Domenica figlia del benzinaio chi l’aveva derubato, che finiranno con entrare in rapporto. Il risultato è un lavoro lontano dal classico film giudiziario, cui interessa poco ciò che accade in aula per concentrarsi su ciò che accade. Il concetto è quello dei documentari del grande americano Frederick Wiseman concentrati su un luogo (spesso un’istituzione) con le storie che riunisce.
Tra i lavori interessanti in gara anche la commedia Effacer l’historique dei belgi Benoit Delépine e Gustave Kervern che fanno ridere raccontando di tre vittime della tecnologia, evidenziando l’assurdità del mondo in cui siamo immersi, tra la dipendenza dalle serie tv, le consegne a domicilio e l’iperconnessione.