Niccolò Ammaniti è stato di parola. Basta col racconto di formazione costruito attorno a un ragazzino e al suo mondo, aveva detto dopo la pubblicazione di Anna; romanzo che peraltro apriva già al cambiamento attraverso la scelta di una protagonista femminile, icasticamente fissata dalla forza del nome palindromo del titolo. Benché vi siano tracce puntuali anche delle altre opere, il modello cui precipuamente guarda il recente La vita intima è senza dubbio Ti prendo e ti porto via (1999).
Rispetto al romanzo di venticinque anni fa si registra la perdita del tono genuinamente scanzonato e della forza dell’intreccio
Anzitutto per l’ambientazione, tra Roma e la Maremma (nella foto un paesaggio maremmano), con riferimenti all’Aurelia e alle terme di Saturnia. Poi per la struttura calendariale del racconto: pochissimi giorni (da mercoledì 21 febbraio a martedì 27 febbraio di un imprecisato anno «del decennio passato») dilatati su trecento pagine cui seguono, con procedimento inverso, due fulminei capitoli finali distanziati da più o meno ampie ellissi («Una settimana dopo»; «Due anni dopo»).
A proposito di personaggi femminili, qui la protagonista assoluta è Maria Cristina Palma, che si pone in stretta continuità con la Flora Palmieri di Ti prendo e ti porto via: nomi analoghi, caratteri fragili, adolescenze segnate dall’abuso di una persona vicina. Solo che Maria Cristina non fa la maestra alle scuole medie di Ischiano Scalo, ma è la moglie del premier e – secondo «un’importante ricerca realizzata da un’università della Louisiana» (!) – la donna più bella del mondo, (forse) vittima del ricatto di un amore giovanile che fa saltare fuori un filmato porno girato durante una vacanza di oltre vent’anni prima. Il presunto aguzzino è Nicola Sarti, una sorta di Graziano Biglia 3.0, non più fricchettone ossessionato dal sesso e dal flamenco, ma velista maneggione che apre resort pacchiani a Pomezia. Ancora: tornano cose minori, come la tipicamente ammanitiana figura del cane; o le voci che risuonano nella coscienza dei personaggi. Soprattutto, però, si riaffacciano alcune tecniche e peculiarità stilistiche: la velocità, che è giustamente stata identificata come uno dei tratti distintivi dell’autore e, più in generale, di molta narrativa «circostante»; la presenza di scene fumettistiche «ligne claire» (Maria Cristina calata dal fido tuttofare Luciano nella canna fumaria per recuperare il proprio cellulare, l’oggetto più importante della nostra vita perché la custodisce); le strutture paratattiche ed elencative («Ha ragione Nicola Sarti. Lei deve tornare quella che era. La scatenata. E tagliarsi i capelli è già un inizio»); le similitudini grottesche e iperboliche («La giornata si annuncia faticosa da attraversare come il deserto del Sinai»), spesso attinte, vista la formazione dello scrittore, dall’ambito biologico; un certo compiacimento, da tenero «cannibale» fuori tempo massimo, per il particolare anatomico («un groviglio di spine le si è avvolto intorno alla trachea»).
Tornano anche molte debolezze: dall’assenza di vero scavo nella psicologia dei personaggi alla pochezza dell’analisi sociologica («Roma, affetta da disturbo bipolare, riesce a essere la città più sgradevole e meravigliosa del mondo»), per cui dalle vicende private non si giunge mai alle questioni ultime e collettive. E fiacchi appaiono anche gli intenti parodici: la «Bestia», responsabile della comunicazione del Primo Ministro, è declassata a un più mansueto Bruco.
Fin qui, nulla di nuovo, verrebbe da dire. Il problema è che rispetto al romanzo di venticinque anni fa si registra anche la perdita del tono genuinamente scanzonato e della forza dell’intreccio, qui messa a nudo da un finale davvero troppo rapido e da digressioni non solo autonome dalla trama principale, ma pure incapaci di crearne lo sfondo (valga, su tutte, la scena in cui Maria Cristina, su pressione del marito, è costretta a cucinare la pizza a un ministro belga in visita in Italia). E passi per l’ostentazione dell’artificio narrativo e per qualche (forse nemmeno consapevolmente autoironico) «la nostra eroina», ma qui a un certo punto fa la sua apparizione anche un io narrante inutilmente ingombrante (sia detto tra parentesi: è anche sulla complessità di cui si investe l’io che può essere misurato il valore letterario di molti romanzi. Si confrontino La natura è innocente di Walter Siti e il molto meno convincente La città dei vivi di Nicola Lagioia).
Se venisse indagato con gli strumenti che si usano per valutare un romanzo, il giudizio su La vita intima sarebbe impietoso. Forse bisognerebbe considerarlo per quello che è: un lungo fumetto fatto di sole parole.