Il consiglio di mettere il meno possibile il naso nella vita degli scrittori, che era, e non senza qualche ragione, delle avanguardie strutturaliste di qualche decennio fa, era spesso accompagnato da un corollario di peso: non chiedete allo scrittore della sua esistenza ma tanto meno chiedetegli conto della sua attività di scrittore. Secondo le posizioni più estreme, chi scriveva era considerato persona poco o nulla adatta a dirci qualcosa sulla sua produzione letteraria e da talune cattedre di quei tempi (soprattutto, ça va sans dire, quelle di letteratura francese) capitava nelle esercitazioni di ricevere fogli con testi privati dell’indicazione dell’autore.
Il bel libro di Giovanna Cordibella I retroscena della scrittura. Come lavorano le scrittrici e gli scrittori in lingua italiana della Svizzera rappresenta quindi tra l’altro anche il superamento di quelle ormai antiche prospettive, perché ai quarantatré autori è chiesto conto di praticamente tutti gli aspetti legati alla loro attività: se hanno un metodo quando scrivono, quando e dove concretamente compongono le loro opere, se ancora ricorrono alla carta o se sono definitivamente sbarcati sul digitale, come governano il procedere dei vari progetti accostati, come trattano i libri della loro biblioteca privata, i rapporti con gli editori, che cosa contano di fare del proprio materiale di lavoro quando questo abbia costituito un corpus significativo degno di essere conservato e studiato, se siano o non siano stati sostenuti da enti pubblici nella loro attività.
Le risposte degli autori (non se ne citerà qui nemmeno uno, perché il timore della presentazione di queste rassegne è quello, classico, di essere rimproverati di avere lasciato fuori questo, promosso quell’altro ecc.) sono un po’ originali e discordanti e personali e leggermente in linea con ruoli e statuti: in quest’ultima compagine stanno quelli che a fronte della richiesta di descrivere il proprio metodo scrittorio rispondono che non hanno un vero e proprio sistema e che spesso la scrittura viene come viene, sgorgando da chissà dove, in una sorta di consapevole understatement che fa dire che si invidia chi abbia un metodo, un rigore e un certo ordine. E ancora alcuni non resistono alla tentazione di fornire un esempio di prosa letteraria, di essere in un qualche modo «creativi», anche in questa stessa occasione, descrivendo la propria attività di scrittura come una sorta di avventura o epopea eroica, collocandosi all’interno di un quadro in un qualche modo letterario. Agli scrittori sembra piacere, insomma, raccontare sé stessi e cercano di farlo nel modo più abbondante ed elegante possibile.
In barba alla tradizione semiotica di cui qui in apertura, questo libro è molto interessante, utile e in un certo senso anche necessario. E lo è anche nelle parti a un primo approccio meno probabili: ogni «scheda» dedicata a uno scrittore si apre per esempio con la riproduzione di un materiale di preparazione, un brogliaccio, bozze, appunti, schemi manoscritti; un frammento di progetto ma anche una sorta di dichiarazione di un costume, che in molti casi ci annuncia già un po’ quello che troveremo nella susseguente parte più concretamente testuale: abbondano i quadernetti tipo Moleskine, da annotare sul tram o al bar o «dove capita», ma ci sono anche saggi di stampa digitale con annotazioni a margine o in calce, più creativi mosaici di post-it sulla parete, altre espressioni.
Talora, l’esercizio di lettura e commento di operazioni come questa rileva anche le assenze eccellenti, in questo caso rappresentate dagli scrittori che non ci sono più. I quali però vivono qua e là nelle testimonianze di loro eredi. E proprio di uno di loro, più e più volte ricordato in questo libro, ci è lasciata la nota osservazione sull’eterno dilemma delle annotazioni a margine sui libri delle nostre biblioteche di casa. «Devo aver preso fin troppo sul serio», dice un intervistato, «l’invito che tanti anni fa, quando ero uno studente liceale, ci rivolgeva Giovanni Orelli a scuola: diceva di pasticciarli, i libri, per lasciare una traccia del nostro passaggio».