Oggi, 12 dicembre, a partire dalle cinque del pomeriggio la redazione di «Azione» apre le porte a collaboratori e amici per l’aperitivo natalizio, nel rispetto di una tradizione che non è soltanto festosa. La coincidenza con la fine dell’anno ne fa, inevitabilmente, un momento di riflessione su questi giorni in fuga, che ci portano via cose e persone insostituibili. E che, adesso, ci hanno privato di una presenza. Forse la più attesa e qualificante al nostro appuntamento, quella di Giovanni Orelli. Proprio lui diventava subito un polo d’attrazione, creando intorno a sé una cerchia di interlocutori e ascoltatori, incuriositi e divertiti, non però in soggezione.
Questa situazione, per così dire di predominio, non era certo predisposta dalla regia dell’incontro, né tanto meno voluta da lui. In un ambiente del tutto informale, nasceva spontaneamente e confermava la forza di una personalità dai tratti incisivi, fuori dagli schemi abituali. L’uomo di cultura, di fama internazionale, era in grado d’imporsi anche sul piano della simpatia e dell’affabilità, che non sono doti tipiche degli intellettuali, categoria cui apparteneva a modo suo. Orelli, intellettuale lo era per meriti concreti, acquisiti lavorando sodo, come scrittore, poeta, traduttore, linguista, e come insegnante, risvegliando la passione per la lettura in varie generazioni di ticinesi, e anche come militante politico. Sembrava, invece, al riparo da qualsiasi vezzo snobistico, a cominciare dal sorriso-sberleffo esibito dagli appartenenti a quella casta che si considera depositaria esclusiva del pensiero corretto.
Ad accentuare questa lontananza dai canoni dell’intellighenzia, era soprattutto la sua dichiarata identità elvetica. Per carità, nulla da spartire con le derive nazionaliste che vanno di moda oggi. Mentre fra gli intellettuali ticinesi prevaleva il culto di un’italianità a volte rischiosa dal profilo ideologico, Orelli guardava, incuriosito, oltre Gottardo. Nella Confederazione, dove godeva di notorietà e stima, ravvisava un modello democratico ben funzionante e, grazie al plurilinguismo, una necessaria apertura verso altri orizzonti. Un mezzo, insomma, per sottrarsi alla trappola del regionalismo cantonale.
Con ciò, è sempre rimasto vivo il legame con la terra d’origine, la Valle Bedretto, protagonista, con il suo paesaggio, il suo clima, la sua gente, di tante pagine e tante ricerche. Del resto, Giovanni ne recava, fisicamente, le impronte: da montanaro solido e vigoroso, diventato, poi, un luganese d’adozione, e un cittadino aperto al cambiamento e ai luoghi lontani, in particolare New York, predilezione ovviamente apprezzata da parte mia.
Con Giovanni Orelli entrai in contatto, e tramite questo settimanale, alla fine degli anni Settanta. Come giornalista, e come madre, assistevo, sconcertata, al cambiamento in atto nell’ambito didattico ed educativo. Il ginnasio stava per essere sostituito dalle medie unificate e, nei programmi liceali di storia e letteratura, il percorso cronologico cedeva il posto ai cosiddetti «prelievi». Il termine incuriosiva e insospettiva. Per saperne di più, mi rivolsi a Giovanni Orelli, professore, per un’intervista. Non ricordo se, da quella conversazione, uscirono argomenti in grado di convincere i lettori della bontà di un cambiamento che portava l’impronta del ’68. Per quel che mi concerne, i dubbi sui «prelievi» permangono. E poco importa. Quel che conta fu l’avvio di una collaborazione fra l’«Azione» e Orelli che ha rappresentato un privilegio, sul piano professionale e umano.
Nel corso dei decenni, la presenza di Orelli doveva trasformarsi, per via naturale, in un punto fermo. Si cercava un commentatore attuale di Dante, ed ecco che lui suggerisce il più giusto, Vittorio Sermonti. Un giovane scrittore chiede un giudizio per i suoi testi? E, di nuovo, si ricorre a Orelli. Si è in dubbio su una citazione? Sarà ancora lui a trarci d’impiccio. Ma, evidentemente, il rapporto non si limita a quello prezioso di una fonte enciclopedica. Ad attribuirgli un’altra dimensione è l’amicizia che ci ha riservato. Personalmente, in momenti difficili, ho apprezzato un suo bigliettino, una sua chiamata.