Un giovane Bene

A quasi vent’anni dalla morte, per Bompiani appare in libreria un’inedita raccolta di versi dell’attore
/ 15.11.2021
di Daniele Bernardi

Era il 1995 quando l’editore Bompiani dava alle stampe – non senza reazioni polemiche da parte di una certa intelligencjia, la cui ostilità oggi appare più misera di quanto già non avvenisse allora – l’impressionante volume Opere, con l’Autografia di un ritratto di Carmelo Bene (Lecce, 1937 – Roma, 2002). Summa di un percorso assolutamente unico, che davvero non trova eguali in teatro così come in letteratura, il libro era (ed è) un viaggio nel quale la poesia rivestiva un ruolo centrale: nel teatro senza spettacolo di CB – come Gilles Deleuze «non-definiva» l’autore – il «non capire» poetico era il punto chiave di una pratica tesa a scavalcare la comunicazione in nome del sentire, dell’essere nell’abbandono.

Solo cinque anni più tardi, sempre tramite Bompiani, Bene pubblicava un altrettanto stravolgente testo: il poema ’L Mal dÈ Fiori, uno degli esperimenti più estremi che la poesia di lingua italiana abbia dato nell’ultimo ventennio. «Materiale proibito» (e come poteva essere diversamente) per il «famigerato lettore comune», il libro confermava la grandezza di CB poeta attraverso il continuo sforzo di infondere la barbaricità dell’orale nello scritto (un costante rimescolarsi di lingue «minori» assediava le pagine: dialetti, arcaismi, idiomi lontani); scritto la cui ossessività era imperniata sulla visione dell’esistenza come fatto essenzialmente biologico e sull’impossibilità, per la vita umana, di avere luogo nel tempo.

Oggi, ad anni di distanza da questi eventi, e dopo la ripubblicazione, in versione tascabile, di altre opere fuori catalogo (Nostra Signora dei Turchi, Sono apparso alla Madonna, Pinocchio) Bompiani torna su Bene offrendo al lettore un curioso reperto: Ho sognato di vivere! Poesie giovanili. Breve libro in cui sono riuniti poco più di una sessantina di componimenti scritti fra i 13 e 21 anni, il volume attinge ai documenti di famiglia; in particolare a una serie di carte consegnate, a suo tempo, da Bene alla madre e successivamente custodite dalla sorella Maria Luisa (in una lontana estate pugliese, a Parabita, ebbi l’occasione di sentirne alcuni durante una lettura pubblica da parte di quest’ultima).

Naturalmente acerbe – ma non per questo non interessanti – rispetto alle spericolate operazioni che presto seguiranno, le liriche adolescenziali di CB toccano per la loro nuda semplicità: scritte in una grafia in cui, ogni tanto, si ravvisa un che di vagamente infantile (alcuni manoscritti sono riprodotti a fianco), in esse sono immortalati scorci di un’epoca da sempre perduta: «Io non so dove tu sarai / nella stagione / delle ciliegie. / So che il sole / berrà l’acqua del fiume; / che i campi saranno / d’oro e i camosci / cercheranno le tane: / piangerò ancora; / ma non so dove tu sarai / nella stagione / delle ciliegie!».

Al contempo, a più riprese già ritroviamo tratti che saranno peculiari per il futuro attore. Come non sorridere nel leggere i versi: «Io cerco un nome / per poter dire: io esisto!» O, ancora, altri in cui è scritto: «Ho sognato di vivere: / era bello! / Seguì un risveglio brusco: / pensai alla morte / e mi misi a ridere!». Oppure, nuovamente: «Come chi torni / a luogo che non ha mai / lasciato, eccomi a te: / no! Non aprir le braccia». Ma ci sono almeno due altre considerazioni da fare, di fronte alla pubblicazione di questo materiale.

Per la prima volta – e non credo di sbagliarmi – una parte dell’opera di Bene viene presentata senza il peculiare supporto saggistico che, sovente, l’ha accompagnata (al di là della frequentazione dei grandi filosofi francesi, come non dimenticare il ruolo centrale degli studiosi nel percorso di CB?). Ecco che oggi, invece, Ho sognato di vivere! è introdotto da una nota del nipote Stefano De Mattia, custode del materiale pubblicato, e da un breve scritto dell’attore Filippo Timi. Tale inquadramento risulta poco consono, o comunque anomalo, da parte di una casa editrice a cui l’autore, a suo tempo, affidò nientemeno che l’opera omnia. Non da ultimo, per la prima volta qui appaiono degli scritti dei quali, che si sappia, Carmelo Bene non aveva voluto la pubblicazione. C’è da chiedersi se, per un artista che pianificò rigorosamente i criteri della propria posterità, questa iniziativa sia adeguata e in linea col suo pensiero.