Michael Imperioli, Il profumo bruciò i suoi occhi, Vicenza, Neri Pozza, 2018


Un figlio della Grande Mela, con l’Italia nel cuore

A colloquio con l’attore e Michael Imperioli, autore di un libro in cui omaggia la delicata età dell’adolescenza e l’adorato e compianto Lou Reed
/ 20.08.2018
di Blanche Greco

«I film italiani erano il nostro paradiso privato, e il nostro gioco preferito, grazie a un canale della TV che negli anni 80 in America, trasmetteva cinema italiano, e mio nonno e io ci restavamo “appiccicati” per interi pomeriggi. Per mio nonno, originario del Lazio, era come avere notizie da casa, per me fu un modo per scoprire dei “parenti” incredibili. La strada; Mimì metallurgico; Pasqualino Settebellezze; La Dolce Vita, sono solo alcuni dei titoli che imparai ad amare all’epoca», ci ha raccontato Michael Imperioli, giovane cinquantenne dall’aria timida e il sorriso negli occhi, anche se come attore ha ostentato spesso modi spicci, sguardo sicuro e ragionamenti pericolosi in film come: Quei bravi ragazzi, famoso gangster movie di Martin Scorsese; come pure nella lunga saga televisiva de I Soprano, dove era un mafioso impulsivo e narcisista, Cristopher Moltisanti, personaggio che gli valse una vasta popolarità, un Emmy come miglior attore non protagonista e un buon inizio come sceneggiatore.

Noi lo abbiamo incontrato in veste di scrittore, a Roma, in occasione del Festival delle Letterature, dove ha presentato: Il profumo bruciò i suoi occhi, il suo primo libro. Un titolo criptico? Non tanto se si è anche un musicista e, da sempre, un fan di Lou Reed del quale ha preso un verso dalla famosa: Romeo had Juliet, dall’album New York del 1989, dove Manhattan appare come un miscuglio oscuro di bellezza e di umanità diverse, dove giorno e notte si sfiorano: gioventù, sopraffazione, amore e violenza. E Imperioli non prende solo in prestito un verso della ballata, ma mette Lou Reed al centro del suo romanzo, accanto al suo protagonista: il sedicenne Matthew, «cucciolo» che ha appena perso il padre e i luoghi della propria infanzia nel Queens, vecchio placido quartiere lontano come la luna da Manhattan, che invece è la sua nuova casa, dove si dibatte tra crisi adolescenziali e problemi familiari.

«Tutto è cominciato con i sedici anni di mio figlio: di colpo non riuscivo più a parlargli, sembrava che lui non mi capisse, e io stesso mi sentivo pesare addosso quella sensazione di estraneità che gli leggevo negli occhi come una condanna. Pensai a me stesso alla sua età, e sperai che i miei ricordi mi aiutassero a ritrovare la chiave del nostro rapporto, così cominciai a scrivere. Ma non volevo fare un’autobiografia, perciò Matty mi assomiglia, ma solo in parte», puntualizza Michael Imperioli che dal padre, autista di autobus italoamericano, attore dilettante di una filodrammatica, prese la passione per la recitazione. «Inoltre volevo raccontare “la grande mela” degli anni 70, quella New York che oggi sembra quasi un altro pianeta, e che nel 1983, l’anno in cui andai a viverci, stava già cambiando. Avevo diciassette anni e per me era tutto nuovo di zecca».

Quei palazzi grandi, vicini, pieni di finestre, che sembrano altrettanti occhi aperti sulla vita altrui e caratterizzano Manhattan, per Matthew sono come una scossa di pura energia irrorata di luce e di neon; con un «rumore» perenne, una sorta di colonna sonora della vita, dove si mescolano il suono del traffico, quello che proviene dalle case, le sirene della polizia, le autoambulanze, gli elicotteri, e la folla che scorre sui marciapiedi. Nuovi personaggi entrano nella vita del ragazzo: dal portiere del palazzo, elegante ma simpatico, al riservato musicista, di nero vestito, basso e smilzo, giacca di pelle e croce di ferro tatuata sulla nuca tra i corti capelli biondicci che abita sotto di lui; fino a Veronica, ragazzina bellissima e misteriosa, che lo «strega» sin dall’inizio. «Avevo appena cominciato a scrivere quando Lou Reed morì. Ero un suo fan da sempre e un suo buon amico da vent’anni, e volevo ricordare il suo talento e la sensibilità che aveva portato nel rock. Sapevo che nel 1976, in un periodo particolarmente turbolento della sua vita, aveva vissuto in un palazzo elegante dell’Upper East Side assieme alla sua compagna transgender, ossessionato dalla sua musica, e “distratto” dalla droga. Anche se non era ancora una famosa rockstar, non era certo quello il quartiere “adatto” a un artista, ma lì avrebbe potuto incontrare Matthew: che tipo di vicino sarebbe stato per lui? Forse un amico, o persino un mentore?». 

Il rapporto tra Matthew e il suo artistico e bislacco vicino di casa, è cruciale per il ragazzo, che soprattutto grazie a Lou e a Veronica, dopo essere passato dallo spavento, allo stupore e alla curiosità, inizia ad accettare la sua nuova vita e scopre di avere abbastanza fiducia in se stesso per uscire dal suo «guscio» e mettersi in gioco. Le avventure e gli incontri di Matthew hanno l’immediatezza di un racconto cinematografico, vivace e incalzante, intessuto di temerarietà e d’inquietudine, tanto che Il profumo bruciò i suoi occhi, sembra più un film che un romanzo di formazione.

La zampa di coniglio blu, la gentilezza e le poesie piene di sentimento e di strazio di Lou, non riusciranno a proteggere Matty dalle crudeltà dell’esistenza, ma solo a renderlo consapevole che c’è sempre una scelta, un modo diverso per leggere ogni situazione. «Niente di ciò che ho scritto è realmente accaduto e non sono sicuro che sia questo il romanzo che avevo in mente all’inizio», ci ha confessato Michael Imperioli, «ma Laurie Anderson vi ha riconosciuto il suo Lou, e i miei figli si sono ritrovati, come me, nella vulnerabilità e nella voglia di vivere di Matthew».