Mort Rifkin è un settantenne intellettuale newyorchese alla ricerca di un senso delle cose e infastidito dal mondo che lo circonda. Insomma, è l’ennesimo alter ego di Woody Allen, nonché il protagonista della sua quarantanovesima regia cinematografica.
Rifkin’s Festival è arrivato ora nelle sale cinematografiche italiane, dopo essere stato in quelle spagnole in autunno, ma difficilmente avrà un’uscita in quelle americane. La recente serie tv Allen v. Farrow ha rinfocolato le vecchie accuse, mai provate, di abusi sessuali sulla figlia adottiva Dylan, che han fatto del comico il bersaglio di sempre più accanite critiche e boicottaggi in patria. L’Europa, amata dal regista ottantacinquenne quasi quanto la sua New York, lo accoglie ancora una volta: la pellicola è una produzione spagnola-italiana ed è ambientata a San Sebastian.
Il protagonista accompagna la moglie Sue al festival di cinema nella città basca, dove dovrà occuparsi della promozione dell’ultimo film del pretenzioso regista francese Philippe (un autoironico Louis Garrell). Rifkin (Wallace Shawn, che ha più volte lavorato con Allen fin da Manhattan) sospetta una relazione tra la più giovane e appariscente compagna e l’uomo, tanto convinto da annunciare alla stampa un prossimo film in cui fornirà idee per la soluzione dei conflitti tra Israele e Stati arabi. Mentre Sue (Gina Gershon) è impegnata, Mort scopre la città e un malessere lo conduce nello studio dell’affascinante dottoressa Jo, con la quale scopre di avere parecchio in comune.
Allen intesse un altro dei suo quartetti, con coppie che si scambiano e fascinazione e amore che diventano antidoti alla rassegnazione e all’insensatezza delle cose. La vacanza risveglia nello scorbutico e ritroso Rifkin (Philippe lo chiama «il Grinch») un inconscio fatto di film europei degli anni ’60, che si trasformano in sogni in bianco e nero ottimamente fotografati da Vittorio Storaro e ispirati a Fellini (Otto e mezzo), Truffaut (Jules e Jim), Bergman (Persona e Il settimo sigillo, con tanto di apparizione di Christoph Waltz a impersonare la morte), Gordard (Fino all’ultimo respiro), Lelouch (Un uomo e una donna), Buñuel (L’angelo sterminatore) oltre agli omaggi a Quarto potere di Orson Welles. Tutte vere e proprie dichiarazioni d’amore di Allen ai suoi maestri e altrettante critiche al mondo di oggi.
Il regista newyorchese è disilluso, ma meno pessimista che in altri lavori: forse la vita non ha senso, sostiene, ma non è vuota, o almeno ci sono tanti modi per riempirla. Forse ci sono situazioni già viste o cali di ritmo, ma si ride in questo Rifkin’s Festival, soprattutto nella prima parte, e non mancano spunti di riflessione.